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 2021  settembre 19 Domenica calendario

La disastrosa campagna elettorale di Luca Bernardo

Luca Bernardo è un primario di Pediatria, e chissà, dev’essere rimasto anche lui un po’ bambino, uno di quei bambini che però a Milano vengono detti “malmostosi”, a metà tra lo scorbutico, il musone e il capriccioso. Moltissimi, a cominciare dalla sua principale sponsor, la gentile e navigata avvocata Annamaria Bernandini De Pace, ne parlano come di una persona competente, seria e generosa. E Licia Ronzulli, fedelissima di Silvio Berlusconi, e paziente di Bernardo, gli ha aperto la strada per il sì alla candidatura, fortemente voluta da Matteo Salvini. Ma in meno di tre mesi, il “civico” Bernardo, 54 anni e un sacco di pubblicazioni mediche, si è andato rivelando, nella gestione dei rapporti sociali minimi obbligatori per un candidato, come una sorta di essere primitivo. L’ultima che ha combinato, il messaggio audio da ultimatum mandato ai segretari dei partiti del centro destra, chiedendo «50mila euro subito», visto che lui «ci mette la faccia», è rivelatrice del misto tra la sua spontaneità e il suo essere un po’ fuori sincrono con la realtà: precisa le richieste, lo fa a 14 giorni dal voto e, se non lo accontentano, minaccia le dimissioni. Ma si può dire una cosa così perentoria per messaggio? E lo si può concepire per di più a Milano, città “sgamata” e patria dell’advertising?
Bernardo comincia con un «Vi prego cortesemente», legge male il testo, parla a braccio, s’impappina sul «ci vogliono i soldi», s’infervora: «Se trovo una versione diversa sul conto corrente mio disponibile (…) lunedì mi ritiro. Non telefonate e chiacchiere…», invoca, ma bonifici. Si dice che la politica sia spesso mediazione, a Bernardo questa informazione non pare sia arrivata. Per di più la sua sortita avviene dopo il nostro sondaggio, che mette in evidenza l’alta probabilità del sindaco Beppe Sala di essere riconfermato già al primo turno. Avviene contestualmente al tiro mancino che gli ha tirato Vittorio Feltri, candidato della lista milanese di FdI, il quale in un’intervista si dichiara certo della vittoria di Sala e definisce Bernardo «non all’altezza». E, infine, avviene nel pieno dei “sussurri” che tengono banco all’ora dell’aperitivo della Milano che conta: il voto disgiunto – si vota a destra per la propria lista, ma la croce su Bernardo non la si mette – è un’ipotesi operativa molto accreditata nel campo della battaglia per la leadership nazionale, battaglia che passa soprattutto per Milano e Roma.
Bernardo si trova in molte ambasce. La candidatura, arrivata in ritardo lo scorso luglio, poteva sembrare un sogno, sia per lui, sia per il fratello Maurizio, ex deputato voltagabbana (sia Pd, sia Fi). Ma «in un mese e mezzo», come si lamenta lui stesso nel messaggio, si prende il primo brusco risveglio quandoRepubblica-Milano rivela che girava in ospedale con la pistola. Ha smentito, poi ha annunciato querele, poi ha spiegato che aveva ricevuto minacce. Purtroppo per la sua versione, queste minacce non risultano nella domanda del porto d’armi, né nelle pratiche di rinnovo. Appassionato praticante di boxe e Krav Maga, arte marziale di origine israeliana, e fondatore del primo centro anti-bullismo in Italia, Bernardo vive molte cose come «un attacco» personale.
Ha già cambiato due addetti stampa, non ascolta chi gli dice che le domande scomode fanno parte delle regole del gioco dell’abitare la casa di vetro della pubblica amministrazione. Non ha voluto esprimersi chiaramente sui voti neofascisti, se gli stiano bene o no i camerati che porta in dote il leghista Massimiliano Bastoni. E tutta questa confusione può essere letta come l’incarnazione di un centrodestra che appare forte finché non lo si vede da vicino. Oppure, fa venire a galla le difficoltà di partecipare alla «tenzone» (parola sua) da esterno ai partiti.
C’è stato un pranzo elettorale nell’interesse di Bernardo, lui ha mangiato e chiacchierato, ma al momento di saldare il conto è apparso molto sorpreso. E se l’è cavata con un: «Cià, facciamo alla romana?».