Corriere della Sera, 19 settembre 2021
Roberto Mercadini, il «poeta parlante»
Ecco, la risata. Acuta, contagiosa, in più tempi: è sempre lì, sotto traccia, come il bollo di autenticità di un pensiero rimuginato per qualche attimo. Non sai quando, da un momento all’altro quella risata squillerà. «Perché ridere è importante, per me il senso dell’umorismo è davvero un senso». Poi le mani, che volteggiano come parole (in effetti parlerebbero già da sole), e la barba da Rasputin in continuità con il capello lungo e grigio che casca su un fisico importante, adatto a occupare una scena. Quindi gli occhiali da miope con le lenti tonde e piccole, che su un volto così avrebbero anche potuto essere quelli di un commissario della rivoluzione.
Invece no. Roberto Mercadini, cesenate di anni 43, è un «poeta parlante». Ossia: recita la poesia. La definizione è sua. Un interprete del teatro di narrazione. Ma anche un divulgatore, uno scrittore, un erudito, un appassionato della cultura ebraica, di Dante, Michelangelo, Leonardo, Garibaldi e tanti altri. Studiandolo in azione sul web, dal vivo nei teatri o anche leggendo i suoi libri si potrebbe affermare innanzitutto che è un romagnolo. Sia detto senza malizia. Qui si tratta proprio di una categoria dello spirito.
D’altra parte è lui stesso ad essere fulminante come solo quelli da Imola in giù (fino alle prime propaggini marchigiane) sanno essere. Si presenta così, a proposito di una certa sua popolarità nelle piazze o sul web, ma non nei canonici canali mainstream: «Sono segretamente famoso. Tra i miei follower ci sono Salmo e Morgan. Ma Ascanio Celestini non sa chi sono». Aggiunge che i suoi lettori sono «quelli che non leggono libri». E a proposito della sua regione, tratteggia gli emiliani come «parenti stretti, si tratta di romagnoli ben educati». Eppure, davvero, non è solo un genius loci. La sua è una storia che miscela passato e presente.
Esisteva, fino a pochi anni fa, uno scrittore di poesie e aspirante interprete di storie, conosciuto nei soli paraggi della Biblioteca malatestiana. Al massimo l’eco arrivava a Rimini e Ravenna. Uno che, come canterebbe Antonello Venditti, aveva bruciato la sua laurea di ingegnere («informatico e pure con un buono stipendio») per vivere in un mondo di parole. «Una volta, a Prato, a vedere un mio spettacolo, c’erano sei persone. A Milano 11. Avevo tentato, tentato, tentato, tentato di costruirmi un seguito. Ogni giorno postavo un video su YouTube con le mie storie. Con metodo. Per due anni. Ma niente, non accadeva niente. Mi seguiva il solito sparuto gruppetto».
Poi, nel 2018, succedono varie cose. La combinazione astrale esiste. Gli chiedono di scrivere un libro: Storia perfetta dell’errore (Rizzoli). «Un editore nazionale che mi chiama, non ci potevo credere». E un suo video di replica ai terrapiattisti, in quegli stessi mesi, diventa virale. Così accade, poco tempo dopo, anche per un video in cui discetta della mela: dieci minuti a parlare di tutti i lati inediti del frutto. Il successo chiama successo. Arriva un secondo libro e le sedie dei teatri, che continuano ad essere circoli Arci, associazioni, prati o chiese sconsacrate, si riempiono. «Vedevo crescere in tempo reale il numero dei miei follower su YouTube. Tipo che andavo in bagno, tornavo ed erano già di più. Ora porto in tour i miei spettacoli in tutta Italia».
Il fenomeno della fama, piccola, media o grande, costruita sul web è di per sé stranoto, eppure resta, in questa cornice, piuttosto interessante. Mercadini, che è un meditativo e non pare avere i tempi canonici dello youtuber (forse meno di tanti altri suoi colleghi cresciuti sulla stessa piattaforma e che pure lo sostengono e lo trattano come un vecchio saggio) diventa popolare. Ma «in un certo ambito: il mio pubblico ha un’età tra i 15 e i 40 anni». Una platea che cerca risposte. E in buona parte non è quella canonica dei teatri, dei giornali o delle librerie.
«La gente ha bisogno di divulgazione, di racconti, di un modo diverso di spiegare le cose. Io non invento nulla, io vado a cercare quello che tanti non sanno. O non associano. Il mio è lo spirito del cercatore d’oro. Trovo pepite, a volte. Leggo il Mein Kampf per preparare il mio libro sulla bomba atomica e scopro che Hitler da giovane caporale reduce dal conflitto era stato mandato a spiare il nascente partito nazista. Non tanti lo sanno. Oppure che lo stesso Hitler e Wittgenstein frequentarono la stessa scuola a Lienz. Sono suggestioni, accostamenti, notizie che consentono di riprendere il filo dello stesso racconto con una miscela che ti sorprende». Così è stato anche per lo spettacolo per Dante. «Mia moglie, che lavora con me, a un certo punto ha detto: “Non si può non allestire uno spettacolo su Dante”. Ma cosa si può fare di nuovo? Allora mi sono concentrato sulla parola. Dante è ossessionato dalla parola, dalla volontà di plasmare la lingua volgare. Le citazioni in latino, i pezzi in lingua d’oc, l’ebraico, le lingue immaginate, il “Pape Satàn, pape satàn aleppe”. Ho letto il De Vulgari Eloquentia e nella Divina Commedia ho sottolineato tutti i punti in cui Dante parla del linguaggio. Da lì sono partito per il mio spettacolo».
Sono queste le storie che contengono altre storie, che contengono altre storie di cui Mercadini tanto discetta. Così forse ha conquistato la propria leggenda personale. Attraverso la prosa «che non fa soffrire». Mentre la poesia, quella sì, è maledetta. «È incontrollabile. Perché a volte stai sveglio fino alle due del mattino e niente, non si mette a posto». Come dice Mercadini citando il poeta romagnolo Walter Galli: «Se esistesse la poesia andrei di volata a farle la serenata. O a strozzarla».