Corriere della Sera, 19 settembre 2021
Intervista a Jane da Mosto
Lo scontro impari è avvenuto nel Canale della Giudecca. Vestita di azzurro come il mare, armata solo di un remo, ritta in piedi sul suo sandalo Tiepolo da 6,5 metri, Jane da Mosto, cofondatrice e direttrice dell’associazione no profit We are here Venice, cercava d’intercettare lo sguardo degli ufficiali di bordo, catafratti sulla plancia di comando della Msc Orchestra. «Avrei voluto dialogare con loro». Già. Ma come fa una nave da 92.409 tonnellate di stazza, con 3.013 passeggeri e 987 membri di equipaggio, lunga 293 metri, larga 32 e alta 60 (il campanile di San Marco ne misura 99) ad accorgersi di una donna che pesa 68 chili e non supera il metro e 67? Il tentativo di arrembaggio è stato immortalato da Michele Gallucci, un napoletano che ha lasciato uno studio d’ingegneria per vivere in laguna, sull’isola della Certosa, e navigare a vela nel Mediterraneo con lo scrittore e musicista Roberto Soldatini. «Ha detto che gli sembravo Atena, la dea della guerra». L’iconica foto ha sancito l’espulsione dal bacino di San Marco delle navi da crociera che superano le 25.000 tonnellate di stazza e i 180 metri di lunghezza.
L’occhio di Jane da Mosto, nata in Sudafrica dall’ebreo lituano Sydney Press e dall’americana Victoria de Luria, laurea in zoologia alla Oxford University, master in tecnologia ambientale all’Imperial College di Londra, è allenato alle misure estreme. Il suocero Ranieri, 98 anni, discendente di quell’Alvise da Mosto che nel 1456 scoprì le isole del Capo Verde, è proprietario del Palazzo Muti Baglioni, l’edificio più alto di Venezia (7 piani, 24,60 metri al cornicione, 29 con il tetto), dove occupa gli 800 metri quadrati del piano nobile. Lei abita al settimo, con il marito Francesco, architetto, documentarista e conduttore che lavora per la Bbc e altre tv, e i quattro figli.
Ma non doveva occuparsi di animali?
«Le origini dell’ateneo di Oxford risalgono al 1096 e i nomi delle facoltà ne risentono. Zoologia sta per genetica, etnografia, evoluzionismo, biochimica, ecologia, scienze naturali. Dopo la laurea mi sono occupata di innovazione alla Korda & Co. di Londra e poi di economia ambientale alla Fondazione Mattei di Milano, sotto la guida dell’ex ministro Domenico Siniscalco».
Da quanti anni assalta le grandi navi?
«Una decina. Fantina Madricardo, specialista in geofisica subacquea dell’Istituto di scienze marine, ha studiato le scie depressive che producono in laguna. Immagini un’onda che erode i fondali, i sedimenti, le coste, le barene. A Venezia respiriamo polveri sottili in misura cinque volte maggiore rispetto alle linee guida dell’Oms. Gli studi epidemiologici dimostrano che nel raggio di 500 metri dal primo porto crocieristico d’Italia, Civitavecchia, aumentano morbilità e mortalità. Venezia è il secondo. Alimentare le navi con gas naturale liquefatto anziché con gasolio non risolverà il problema delle emissioni di anidride carbonica».
Però ora seguiranno la rotta di Malamocco e attraccheranno a Marghera.
«Spostare quei mostri a Marghera non cambia nulla. E non ha senso».
In che senso non ha senso?
«Se percorrono a bassa velocità il Canale dei petroli, certo l’erosione dei fondali è minore. Ma più una nave procede lentamente e meno è governabile. In quel tratto di laguna si rischia un incidente come quello della Ever Given incagliatasi nel Canale di Suez. Le tempistiche della navigazione sono all’insegna del time is money, incompatibili con l’ambiente».
Prima della pandemia, il passaggio delle navi da crociera a Venezia generava un giro d’affari di 283 milioni di euro l’anno, occupando 4.300 lavoratori.
«Noi scienziati citiamo i numeri accompagnati dalla fonte. La sua qual è?».
Cruise lines international association.
«Non penso che siano cifre realistiche. Una delle principali cooperative veneziane per i servizi logistici a terra conta 33 soci, appena 4 dipendenti e fino a 300 lavoratori stagionali. Se lei avesse un lavoro avventizio, potrebbe pianificare la sua vita, mettere al mondo un figlio, chiedere un mutuo in banca per comprarsi un alloggio?».
Il sindaco Luigi Brugnaro mi ha detto: «Lo sa quanti prodotti made in Italy caricati nel nostro porto consumano 3.000 persone? A mi le navi le me piase!».
«Non so se 3.000 crocieristi mangino made in Italy. Quello che so è che, in coincidenza con l’arrivo della loro nave, approdano a Porto Marghera anche cargo stracarichi di vivande, a cominciare dai bastoncini di pesce surgelati. Venezia non potrebbe fornire le moeche o le schie per 3.000 persone, né Arrigo Cipriani dell’Harry’s bar, che coltiva i carciofi violetti di Sant’Erasmo, riuscirebbe a procurare le prelibatezze per tutta quella gente. La storia dell’indotto non me la bevo. I margini di reddito delle compagnie sono basati non sui biglietti per la crociera bensì sulle spese a bordo. I passeggeri scendono con il lunch bag e a noi veneziani lasciano la spazzatura».
Propone la rottamazione delle navi da crociera? O la chiusura di Fincantieri?
«Propongo che il governo fissi dei limiti. Avrebbe dovuto dettarli già dopo il disastro della Costa Concordia nel 2012 all’isola del Giglio e l’incidente della Msc Opera che tre anni fa, nel Canale della Giudecca, urtò la banchina di San Basilio e travolse un battello fluviale. Mio padre era un imprenditore molto creativo nel ramo dell’abbigliamento. Gli ingegneri della Fincantieri sono altrettanto geniali, sanno come fare. Tutti i cambiamenti portano una disruption, uno sconquasso. Non tocca a me dire che alle grandi navi va impedito di solcare i mari. Io dovrei essere nella stanza qui accanto a seguire mio figlio di 12 anni che sta facendo i compiti di scuola».
Ma anche quelle a vela, come la Amerigo Vespucci, vanno bandite da Venezia?
«Ovvio che no».
Meno male. Una città di mare senza porto sarebbe un unicum mondiale.
«Perciò sono contraria alla soluzione Marghera, che non è per nulla attrattiva per i crocieristi. Senza contare che i sindacati già protestano per le interferenze con i traffici industriali. Invece di spendere i soldi del Recovery plan per altre infrastrutture, bisognerebbe innovare».
Mi sembra che la faccia facile.
«No, affatto. Ho conosciuto l’ingegner Stefano Schiavo, ceo della Cmit di Ravenna, che rappresenta in Europa la China merchants group, la seconda società più redditizia della Cina. Hanno progettato una nave da crociera per 500 passeggeri, sostenibile, che usa una piccola frazione di energia, ricicla l’acqua a bordo e non produce rumore subacqueo».
Da quanti anni vive a Venezia?
«Dal 1995. In passato questi ciclopi attraccavano in Riva Sette Martiri, davanti ai giardini della Biennale, tanto che nel 2010 commissionai a un filosofo inglese un articolo in proposito da inserire nel catalogo del padiglione della Gran Bretagna. Manco i fuochi d’artificio per la festa del Redentore ti facevano scorgere».
La nave più grande che ha visto?
«Non l’ho ancora vista. L’hanno appena varata. Lunga più di 300 metri, 7.000 passeggeri. Però mi è bastata quella con le luci azzurre che una sera manovrava nel bacino per uscire da Venezia. Pareva che volesse infilarsi in piazza San Marco. Tenevo per mano mio figlio Cosimo. Gli ho chiesto, nel modo più neutro possibile: “Ti piace?”. Mi ha risposto: “No, mi fa paura. Sembra la fine del mondo”. Abbiamo un terreno in laguna, vicino a Torcello. La domenica sera, tornando in barca a Venezia, vedevamo le grandi navi che superavano in altezza l’Arsenale».
È mai stata in crociera?
«No. Però nel 2002 m’invitarono con mio marito a un party sulla Zuiderdam, ancorata a Venezia. Rinunciammo al buffet per esplorarla e ci perdemmo. Alla fine trovammo un ascensore. Dentro c’era Cesare Romiti, che avevo conosciuto a Milano e che mi salutò calorosamente».
Usa l’aereo? Anche quello inquina.
«Ci sono salita di recente per tornare dalle ferie in Grecia. Il primo volo dal 2018. Penso di essermelo meritato».
Favorevole o contraria ai tornelli e alla tassa d’ingresso per chi entra a Venezia?
«Esistono modi migliori per gestire il turismo. I tornelli li avevamo a Coromandel farm, in Sudafrica. Gestivano le vacche che tornavano dai pascoli per farsi mungere. Tenevamo una mucca anche nel giardino di casa, a Johannesburg. Ma calpestò una tartaruga e vi rinunciai».
L’angolo di Venezia che ama di più?
«Oh, tutto, tutto, tutto! Non c’è giorno che non ne trovi uno mai visto prima».
Come s’immagina la città fra 100 anni?
«Come questa, però migliore. Con vaporetti biocompatibili e silenziosi».
Quando Umberto Bossi costituì il Governo del Sole, suo suocero Ranieri ospitò il consiglio dei ministri leghisti.
«Non ricordo. Ero troppo impegnata a occuparmi dei miei figli ancora piccoli».
Lui vorrebbe che la Corte internazionale di giustizia dell’Aia invalidasse la seduta del Maggior Consiglio che il 12 maggio 1797, con l’unico voto contrario del suo avo Zan Alvise da Mosto, sotto la pressione delle armi cedette Venezia a Napoleone. E che ordinasse alla Francia di restituire le «Nozze di Cana» del Veronese e la «Cena in Emmaus» del Tiziano, trafugate e oggi esposte al Louvre.
«Ho molto rispetto per Ranieri. Mi ha insegnato la storia della Serenissima».
A impedire l’Expo 1990 a Venezia fu la baronessa Maria Teresa Gaja Rubin de Cervin. Com’è che qui le battaglie le combattono i nobili anziché il popolo?
«La conoscevo, era mia vicina di casa. Lei di origini torinesi, io sudafricana. Si vede che nemo propheta in patria».
Suo marito che cosa ha detto dell’assalto alla Msc Orchestra?
«Dovrebbe chiederlo a Francesco. Se vuole, le do il suo numero di telefono».