Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2021
Balzano i tassi dei bond cines
Acque sempre più agitate per Evergrande, l’indebitatissimo gigante immobiliare cinese a rischio crack. Nell’ultima seduta alla Borsa di Hong Kong il titolo ha perso il 3,8% precipitando sui minimi da 10 anni. Rispetto allo scorso venerdì la quotazione ha perso il 30% e nei confronti di un anno fa, la flessione è dell’87% abbondante.
A questo punto gli investitori internazionali iniziano ad interrogarsi su quanto grande possa essere il “bubbone Evergrande”. E se c’è il rischio che la crisi di liquidità in cui è piombata la seconda società del settore immobiliare della Cina – che è titolare di più di 1.300 progetti immobiliari sparsi in oltre 280 città – possa in un certo qual modo contagiare i mercati occidentali.
I guai sono aumentati da maggio. Il calo di fondi a fronte di 2.000 miliardi di yuan (305 miliardi di dollari) di passività ha polverizzato anche il valore delle obbligazioni. Il contesto non aiuta. Ad agosto le vendite di case in Cina sono crollate del 20% segnando la flessione più alta degli ultimi 18 mesi. A gettare benzina sul fuoco sono poi arrivate le dichiarazioni del redattore capo del giornale di Stato cinese “Global Times” secondo cui non bisogna puntare su un salvataggio pubblico sulla base dell’ipotesi che “è troppo grande per fallire”. Ma un default di Evergrande potrebbe avere ripercussioni sull’intero sistema finanziario cinese e anche sulla tenuta sociale del Paese.
Intanto c’è di nuovo che i bond della compagnia sono stati sospesi a seguito di un ulteriore downgrade da parte dell’agenzia di rating S&Poor’s mentre ormai è dato per scontato che lunedì i creditori non riceveranno cedole previste per un controvalore di 80 milioni di dollari. I banchieri hanno detto che molto probabilmente il pagamento non verrà effettuato e la società entrerà in una fase in cui le autorità intervengono e cedono alcuni degli asset, ma lo scenario potrebbe complicarsi.«Dovremo vedere cosa succede», ha detto Sid Dahiya a Londra, responsabile per i bond corporate EM di Abrdn, ex Aberdeen Standard, che detiene una piccola parte dei bond.
Al di là di queste implicazioni – che rischiano di minare la fiducia verso le corporate cinesi che hanno scelto o vorranno scegliere in futuro la strada dei bond per finanziarsi – il “contagio interno” sta proseguendo. A tal punto che i rendimenti dei bond high yield – quelli più speculativi e con rating “junk” – in Cina ieri è balzato al 14,4%. Si tratta di livelli persino più elevati rispetto a quelli raggiunti nella primavera del 2020 mentre la pandemia metteva Ko i mercati globali.
Come stanno vivendo la vicenda i mercati occidentali? C’è il rischio di ripetere la storia di Lehman Brothers? Sarebbe certamente singolare perché anche quell’ultima grande crisi che la storia della finanza annovera (2008) fu innescata dal mercato immobiliare; in quel caso la miccia arrivò dai mutui subprime concessi a destra e a manca negli Usa, impacchettati in derivati e poi venduti in tutto il mondo.
Al momento le due storie non sembrano così vicine. Tuttavia la possibilità che il contagio fuoriesca dai confini cinesi e si espanda nel globalizzato mondo della finanza e esiste. Un eventuale rischio domino è legato all’esposizione di fondi hedge e fondi comuni di investimento occidentali al settore real estate cinese quanto più in generale al mercato obbligazionario orientale. Da queste esposizioni potrebbero derivare degli automatismi e politiche di derisking per ribilanciare i portafogli. Queste politiche li costringerebbero a vendere titoli che non hanno nulla a che vedere con la Cina, l’immobiliare e compagnia bella. Questo è il rischio più elevato. Su questo fronte non è ancora chiara la mappa. Interpellato da Reuters, un portavoce del più grande asset manager europeo Amundi, ha dichiarato che l’esposizione verso Evergrande è attualmente ridotta a 25 milioni di dollari, meno del 10% di quello che era all’inizio dell’anno.
Il caos Evergrande peraltro accade in un momento già delicato per Wall Street. L’indice S&P 500 – il più importante al mondo – ha chiuso in rosso sette delle ultime nove sedute. Non accadeva dallo scorso febbraio. Un segnale di debolezza confermato dall’andamento delle posizioni aperte (open interest) dei contratti di opzioni put sull’S&P 500, vicine ai recenti massimi e ormai da qualche settimana sopra la soglia dei 10 milioni di contratti. Ciò vuol dire che i grandi investitori si stanno assicurando. Quello che non possono sapere è da cosa si stiano proteggendo. Da un’eventuale semplice correzione dei mercati (è da febbraio che Wall Street non arretra di un 5%) oppure da un cigno grigio o nero. Nessuno lo sa. Nel dubbio meglio non prendere sottogamba la vicenda Evergrande.