Tuttolibri, 18 settembre 2021
Storia della rivista Imago
Imago si presenta come un oggetto misterioso, una busta nera che nasconde e protegge una cartellina colorata. Un approccio deludente per una rivista che nel sottotitolo si dichiara «per una nuova immagine». Ma il lettore inconsapevole, che al primo contatto è rimasto sconcertato, sarà poi meravigliato – come lo sono stato io – dalla qualità degli stampati liberati aprendo la cartella.
Forse è stata la bellezza delle immagini che mi è rimasta negli occhi, o più probabilmente è stata la semplice sfida di mettere insieme tutti i numeri, oggetti ormai molto rari, difficilissimi da trovare nella forma originale, a spingermi dapprima a collezionarli e poi a progettare un libro che presentasse al pubblico tutti insieme gli straordinari oggetti grafici pubblicati nelle quattordici uscite, tra il 1960 e il 1971.
Ma che cos’è Imago? Non è facile dirlo. Dal punto di vista formale, è una rivista, sia pure con una periodicità «fantasiosa», dato che usciva quando tutto era pronto e soprattutto quando c’erano i soldi per stamparla. Per la precisione, Imago è una rivista aziendale, un house organ, anche se molto inusuale, lo strumento inventato per promuovere i servizi della Bassoli Fotoincisioni di Milano, azienda specializzata nella produzione di cliché per la stampa, da Raffaele Bassoli, il suo titolare, e da Michele Provinciali, grafico geniale, insegnante, fotografo, uno dei protagonisti più in vista sulla scena del design italiano nel suo periodo migliore. Ma Imago è anche, e contemporaneamente, un repertorio di grafica, una scatola magica e la sintesi ideale di un’idea di impresa, in cui un’azienda con la necessità di pubblicizzare la propria qualità produttiva incontra la sperimentazione, la creatività, la ricerca e la cultura del design.
Raffaele Bassoli e Michele Provinciali, direttore editoriale e art director della rivista, pubblicano il primo fascicolo di Imago nel maggio del 1960, in pieno boom economico, quando l’Italia è un paese dove tutto sembra possibile e quando il design italiano sta iniziando la marcia trionfale che lo porterà a invadere le case di mezzo mondo.
Per Imago Provinciali vuole qualcosa di diverso ed elabora un progetto editoriale in cui la figura del grafico non è necessaria, o non è necessariamente visibile. Evitando di far emergere il proprio segno, Provinciali assume piuttosto il ruolo del curatore e concepisce una cartella che contiene un eterogeneo insieme di stampati, ciascuno un’invenzione autonoma e distinta per forma, supporto e impaginazione. Vuole che ogni progetto sia un pezzo unico, una riflessione o uno sguardo su un argomento originale scelto autonomamente dal suo autore.
Oggetti indipendenti, non rilegati fra loro, e tenuti assieme solo dalla confezione. Alcuni costruzioni puramente visivo-materiche, altri elaborazioni verbo-visive, con libere associazioni di grafiche, fotografie, riproduzioni d’arte e testi.
Navigando fra i contenuti delle cartelle di Imago si trovano fogli singoli variamente ripiegati, manifesti, piccoli libri, fascicoli a punto metallico, realizzati con cartoncini e veline, stampati in nero o in più colori. Un virtuosistico inventario di soluzioni grafiche di grandissimo valore, come ad esempio i 121 carabinieri o le automobili disegnate, come i primi, dal grafico «senza patente» Pino Tovaglia, le saponette consumate, il biglietto ferroviario fuori formato o «i nefasti contenitori dei liquidi per lavare, ritrovati difformi sulla battigia», tutti lavori di Michele Provinciali, l’Automostro di Armando Testa o la Ricostruzione teorica di Bruno Munari.
Imago è anche una grande vetrina di talenti, un luogo di incontro che incarna e traduce lo spirito e le iniziative che in quegli anni animano Milano, una città in grande espansione economica ed edilizia ma nella quale industria e cultura si cercano e si incontrano e in cui si aprono nuovi percorsi per la sperimentazione artistica e in genere culturale. Grafici, scrittori, poeti, fotografi, illustratori, artisti e persino musicisti, amici di Bassoli e più spesso di Provinciali, popolano il vivace mondo che ruota attorno alla pubblicazione della Bassoli Fotoincisioni. Un ruolo importante lo hanno certamente gli scrittori: grandi nomi della letteratura italiana – Dino Buzzati, Piero Chiara, Giuseppe Pontiggia, Mario Soldati – ma anche autori meno conosciuti al grande pubblico, come Raffaello Baldini, Aldo Borlenghi, Raffaele Carrieri, Sergio Garassini, Pino Pistorio e Domenico Tarizzo, che animano Imago con una scrittura ironica, pungente, impegnandosi a trattare temi diversi e contribuendo a quel plurale linguaggio verbo-visivo che contraddistingue la pubblicazione. Ci sono, naturalmente, grafici e pubblicitari: nomi noti come Giulio Confalonieri, Silvio Coppola, AG Fronzoni, Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari, Remo Muratore, Armando Testa, Pino Tovaglia, e altri meno conosciuti, ma non meno interessanti, come Emilio De Maddalena, Roberto Maderna, Antonio Tabet ed Enzo Belfanti, art director della Bassoli Fotoincisioni, autore di molti dei progetti pubblicati su Imago. Oltre a loro, importanti fotografi come Alfa Castaldi e Paolo Monti, e artisti e illustratori come Fulvio Bianconi, Floriano Bodini, Salvatore Fiume o Aoi Kono Huber.
A sancire e, in qualche modo, «celebrare» questo sodalizio ideale, Bassoli istituirà l’Ordine della Vecchia Scarpa, una fantasiosa onorificenza assegnata a tutti i collaboratori della rivista, ispirata alla scarpa pubblicata in testa all’editoriale del primo numero e ripresa sulla copertina del volume edito da Corraini.
Nel 1971, undici anni dopo il primo numero, quando l’Italia del boom economico era ormai lontana, Milano non era più la città delle mille imprese e l’azienda, sorpresa dalle nuove tecniche di stampa, iniziava ad avere i problemi che pochi anni dopo l’avrebbero portata alla chiusura, e quando il mondo che popolava la rivista era definitivamente scomparso, Raffaele Bassoli chiuse le porte di Imago, mettendo la parola fine a un oggetto grafico che ancora oggi ci affascina e sorprende.