La Stampa, 18 settembre 2021
L’ultima fuga del bandito Max
Anche l’altra notte, l’ultima volta che l’hanno preso, a Bolzano, ha provato a scappare. Ma a 62 anni, mezzo sciancato, il fisico pieno di acciacchi, non è andato troppo lontano. Max Leitner, una carriera di rapine, ma soprattutto di fughe, diceva sempre: «Non mi prenderanno vivo, piuttosto la faccio finita. E di certo non tornerò in carcere». Invece c’è sempre tornato. L’ha fregato una donna, questa volta, una nigeriana, di cui s’era invaghito, mica tanto corrisposto però. L’hanno chiamato «il Re delle evasioni», Max, un soprannome un po’ letterario, perché ha passato buona parte della sua vita sempre cercando di fuggire. Sin dall’inizio, nel 1990, quando lo fermarono in Austria dopo una rapina a un portavalori. Sparatoria e fuga, un suo classico. Poi carcere e prima evasione. Riparò in Italia e si consegnò a Bolzano, fermandosi in cella solo qualche settimana. Scappò calandosi dalla finestra con le lenzuola, il metodo che devono aver vagheggiato almeno una volta tutti i carcerati. Il primo ad adoperarlo fu un ladro magro e ribelle della Londra del 1700, Jack Sheppard, che cercò di dileguarsi così fra i topi e le fogne. Visse poco, Jack, 22 anni appena, giusto il tempo di entrare nella storia delle grandi evasioni.
Max è ancora vivo, a inseguire la volta buona. Viene sempre preso, però. Dopo Bolzano, Padova, un’altra rapina, sparatoria e ancora fuga, poi carcere a Bergamo, solita evasione, l’arresto a Rabat, la prigione di Asti e di nuovo da capo. Convince il cappellano a portarlo a pregare sulla tomba del padre, ma arrivato al cimitero riesce a dileguarsi fra quelle lapidi e i cipressi. Lo ribeccano e si fa 10 anni in silenzio. Quando esce è libertà vera fino all’altra notte. Per quelli come lui, o come Graziano Mesina, l’altro re delle evasioni, è una specie di dannazione. Anche Graziano cercò di scappare la prima volta che lo arrestarono. Era accusato di tentato omicidio, perché aveva aggredito il vicino che gli aveva ucciso la cagna. «Mi ha rubato l’uva», si era scusato quello. Allora Mesina aveva squartato il cane per vedere se aveva davvero mangiato l’uva, e siccome non aveva trovato niente gli era saltato addosso per rendergli la pariglia. Quando lo beccarono, scappò liberandosi delle manette e saltò sul primo treno che passava alla stazione. Lo consegnarono alla polizia i ferrovieri. Da allora tentò di evadere 22 volte, e molte ci riuscì, come l’11 settembre 1966 quando scappò con Miguel Atienza scalando un muro del carcere alto 7 metri. Con quella latitanza cominciò la crudele stagione dei sequestri. Diventò la primula rossa, entrando e scappando dalle prigioni. La realtà è leggenda, con un po’ di esagerazione magari. Prendete Henry Charrière, Papillon, che fuggì dall’isola del Diavolo con una barca costruita da lui con noci di cocco. Ha scritto un libro, ne hanno fatto un film, ma i suoi compagni di carcere dissero che raccontava un mucchio di palle. Perché la verità è sempre più strana di quello che sembra, può essere anche una storia senza la parola fine. L’11 giugno 1962, Frank Morris e i fratelli John e Clarence Anglin scapparono da Alcatraz dopo aver lavorato un anno a scavare un tunnel, coprendo il buco con i giornali e lasciando dei manichini sotto le lenzuola. Salirono su una zattera improvvisata, sparendo nel nulla fra le acque gelide della baia di San Francisco. Non si seppe più niente di loro, e l’Fbi disse che erano morti. Chissà se è vero.
Bill Hayes invece ce l’ha fatta. Arrestato per droga a Istanbul e condannato a 30 anni, si nascose in una costruzione di cemento, riuscendo poi a rubare un gommone con il quale raggiunse la Grecia nel mare in tempesta. Ma sono pochi quelli che la sfangano, la maggior parte sono tutti ripresi. Renato Vallanzasca scappò due volte, la seconda dall’oblò di un traghetto che lo portava all’Asinara, e fu beccato perché cercò una donna. Felice Maniero fuggì da Fossombrone, fu riacciuffato e tentò di corrompere due guardie con 80 milioni a testa senza riuscirci. Lo liberò la sua banda, fu arrestato di nuovo e allora decise di pentirsi.
Pascal Payet l’hanno bloccato quando ormai era convinto che non l’avrebbero più trovato. Si era fatto prelevare da un elicottero sul tetto del carcere di Luyes, nel 2001. Due anni dopo aveva liberato tre suoi compagni con lo stesso sistema, guidando lui l’elicottero. Tutti ripresi. Nel 2007 scappò di nuovo, sempre dalla porta del cielo. Si fece una plastica facciale per non essere riconosciuto. Lo catturarono lo stesso a Barcellona. La verità è che la cosa più difficile è il dopo, è farla franca. La fuga è uno sberleffo, un atto sfrontato di fantasia. John Dillinger scappò dal carcere della contea di Crown Point minacciando le guardie con un pezzo di legno a forma di pistola e una saponetta e per allontanarsi rubò la macchina del direttore. Ma 4 mesi dopo fu ucciso con 5 colpi dagli agenti dell’Fbi all’uscita di un cinema di Chicago, mentre aspettava le sue amiche, Polly e Ana. Davano un film poliziesco con Clark Gable, Le due strade. Era stata proprio Ana a tradirlo. C’è sempre una strada sbagliata in una fuga.