Pierfrancesco Favino esplora la zona di Trapani con Carlo Cracco, esperienza di vita, viaggio con risvolti gastronomici, il filo conduttore di Dinner club,nuovo format di Amazon (in streaming su Prime video dal 24 settembre) che lo vede coprotagonista con Diego Abatantuono, Sabrina Ferilli, Valerio Mastandrea, Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto. Si scoprono sapori, si cucina e soprattutto si chiacchiera, in libertà, durante la cena. «Facevo i compiti in cucina mentre mia madre cucinava», racconta Favino; anche lui, come Cracco, ha fatto il chierichetto da piccolo: «La prima forma di spettacolo» . Eccoli insieme, sfrecciare in Mehari, lo chef e l’attore di talento che colleziona premi, su strade deserte, la Sicilia dei paesaggi metafisici, poi divorare cannoli giganti, scoprire che del tonno «come per il maiale non si butta niente». Ospiti nelle case, devono finire tutto quello che viene offerto, momento esilarante l’acquisto dei dolci di pasta reale nel monastero delle suore benedettine. «Pagavo 150 euro, ne ho dati 200: i 50 di resto?».
Favino, quanti chili ha preso?
«Credo tre. Guidava Carlo, non facevo neanche lo sforzo di tenere il volante, non ho bruciato una caloria. Non mangiavo così dal matrimonio di mio cugino. In Sicilia qualsiasi cosa è buona».
L’idea, guardandovi, è che vi siate davvero divertiti: è così?
«È verissimo, sarebbe stato complicato fingere, non c’era un copione; è stata una sorpresa. Ero più teso all’idea delle cene rispetto al viaggio. Invece con tutti c’è stata immediatamente una sintonia che si vede, la sfida — se di sfida si può parlare — è che non sapevamo nulla. Sono stati bravi a mettere su un cast affiatato».
Fa l’attore, cosa l’ha convinta del progetto?
«Innanzitutto la passione per il viaggio e la cucina. Ci metta che venivamo da un momento in cui siamo dovuti stare tutti chiusi, durante il programma mi sentivo di ringraziare. In più con il piacere di approfondire il rapporto con Carlo, che conoscevo poco e contemporaneamente la possibilità di sfidarsi. Faccio l’attore ma non sono chiuso, sono curioso. Ho fatto il Festival di Sanremo. Non ho mai pensato a Dinner club come a un talent o un reality, non mi sono sentito fuori luogo. È stato un grande piacere, lo rifarei».
Nel 1957 Mario Soldati fece "Il viaggio nella valle del Po", è passata una vita, l’Italia è cambiata ma ci sono ancora personaggi formidabili. Se l’aspettava?
«Siamo andati a scoprire le eccellenze, ma siamo entrati nelle case: questo paese è fatto dalle persone. Aprire le case è un segno di generosità, l’ospitalità è un bel valore. In questo, come per Soldati, non è cambiato niente, diventa un percorso antropologico».
Ha mai mangiato per consolarsi?
«Cucino per consolarmi. Cucinare mi piace, mi rasserena pensare "Stasera faccio questa ricetta", andare al mercato, scegliere gli ingredienti, calcolare i tempi: è la cosa che mi rilassa di più con la lettura».
Ormai è uno chef sopraffino, sa fare anche l’uovo di seppia…
«Che sfida… Divido il mondo in due categorie: chi è capace di accudire e chi non ha quel talento. Mia mamma ha sempre cucinato, vengo da una famiglia pugliese: mangia che cresci. Le mie figlie amano la cucina, la piccola ha un grandissimo naso, la seconda vuole fare la cuoca e aprire un ristorante: assaggia un piatto e becca al 95% quello che ci hai messo dentro».
Cracco se lo aspettava così simpatico?
«No, è una sorpresa. Penso che tenga dentro di sé un mondo e hai bisogno di stargli vicino perché si sveli. Credo di aver conosciuto il 10% di Carlo, è curioso, coraggioso, mi sono trovato benissimo con lui.
Purtroppo adesso ho il suo numero: se prima chiamavo mamma per un consiglio in cucina, ora telefonerò a lui. Un po’ come chiamare Armani se ti si stacca un bottone».
La sfida con Sabrina Ferilli?
«Non ho mai sentito la sfida, lei doveva vincere assolutamente. È una forza della natura, nelle nostre cene ha raccontato anche cose personali. Con Diego e con Sabrina non abbiamo mai lavorato insieme, conoscendo di più Mastandrea è proprio Valerio che mi ha stupito.
Ci conosciamo da tantissimi anni, sappiamo tutte le magagne di entrambi e mi ha sorpreso per la sua apertura, il divertimento».
Le mancano un po’ queste cene tra amici?
«La cosa bella è che siamo andati al di là di quello che ci protegge, ognuno di noi ha il proprio personaggio. Siamo stati messi in condizione di tirare fuori - sia nel viaggio che a tavola - qualcosa che non avevamo espresso . Penso che faccia bene al nostro ambiente percepire chi siamo e farci scoprire dal pubblico, senza snobismo».