Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 18 Sabato calendario

Torna la rivista di Armani

La rivoluzione del costume di Giorgio Armani è passata pure per l’editoria. Nel 1988, e per i dieci anni successivi, esce in edicola Emporio Armani Magazine , una testata legata al brand, ma dai contenuti giornalistici. A dirigerlo è Rosanna Armani, sorella minore di Giorgio e suo alter ego nel progetto. Una bella novità per un sistema all’epoca abituato solo a cataloghi e pubblicità. Anche per questo l’uscita di un numero speciale della rivista per i 40 anni del marchio di moda ha suscitato molta curiosità.
Il direttore è sempre Rosanna, ma Giorgio non è tipo da osservare e basta. Come funziona tra voi?
Giorgio Armani: «Trattandosi di mia sorella, sono riuscito a venire meno alla mia proverbiale ossessione per il controllo. Ci parliamo all’inizio, dopodiché lascio carta bianca, almeno sui testi. Sulle immagini mi impunto molto, ma le riconosco il ruolo di autore del magazine».
Rosanna Armani: «E io ho sempre goduto di questa inattesa libertà, lo confesso, ma ne ho sentito anche la responsabilità».
Sul lavoro conta il vostro legame?
RA: «Non è sempre facile tra fratelli, ma il vantaggio è che di solito ogni contrasto viene risolto. Siamo molto uniti, ma abbiamo entrambi una forte personalità; discutiamo, ma poi si va oltre. Certo, il capo è Giorgio, e ne sono consapevole».
GA: «Talvolta non siamo d’accordo, ma riconosco a Rosanna due grandi qualità: ironia sferzante e capacità di sdrammatizzare».
Cosa vi ha spinto nel 1988 ad avviare un progetto del genere?
GA: «Sarò sincero: la curiosità.
Avevamo notato come Emporio stesse diventando un fenomeno di costume, e produrre da noi i nostri "contenuti" ci sembrò logico.
Rosanna lavorava con me, ma proveniva dall’editoria: fu lei a propormelo, e io accettai subito. Altri tempi: si sperimentava senza smanie di guadagno».
RA: «Volevo tornare a fare giornali (era la photoeditor di Playboy ai tempi d’oro della rivista, ndr ), ma da un nuovo punto di vista. Avevamo un vantaggio sui competitor: una collezione forte che tutti volevano.
Questo ci spinse a comunicarla in modo diverso».
Punti chiave della sua riuscita?
GA: «Penso che il formato oversize fosse di grande impatto: in edicola si notava bene».
RA: «E poi le copertine con lo strillo, unito all’immagine. Vero, mai giudicare dalla copertina, ma una cover efficace attrae, è come la porta attraverso cui passano tutti».
Avete parlato di Cuba, dell’Africa, del corpo umano. Ora in cover c’è Marte. Come scegliete i temi?
RA: «Mai avuto uno schema preciso.
Spesso lo strillo di copertina veniva deciso all’ultimo. Poteva nascere da una foto, dalla collezione Emporio fotografata, dalla voglia di osare».
Come reagì il fashion system?
GA: «È già capitato che un mio progetto venisse accolto nell’ambiente con scetticismo. Le ricordo che all’inizio persino il nome "Emporio" appariva loro troppo democratico. Ma presto è sopraggiunta la curiosità».
E i lettori "normali", invece?
GA: «Il pubblico della strada reagì benissimo, perché il linguaggio era lo stesso della collezione: diretto e senza filtri. Non nasceva per indottrinare, ma per condividere spunti e idee. Era la versione più spontanea e immediata di ciò che i marchi oggi fanno con i social».
RA: «Vero. Sono orgogliosa di poter dire che abbiamo creato un lessico preciso, che ha toccato una corda nei lettori. Parte dalla moda, ma non è di moda. È senza tempo».
Anniversario a parte, a cosa serve questo nuovo numero?
RA: «È uno strumento comunicativo forte, con caratteristiche evidenti che i progetti digitali non hanno.
Volevamo offrire un’istantanea del momento, ma che restasse».
A proposito di digitale: questa è una fase molto delicata per l’editoria, e la carta stampata pare in difficoltà. Che ne pensate?
GA: «Senza carta, per me, l’informazione non può essere completa, nemmeno quella di moda. Oggi è ritenuta troppo lenta perché tutto si consuma in un secondo, ma proprio per questo è importante salvaguardarla. È un luogo di riflessione, elaborazione, cultura. Il quotidiano ogni mattina per me è un rito e un approfondimento».
RA: «Sono d’accordo. Che siano immagini o parole, resta uno spazio per sviluppare i concetti. E oggi ce n’è un grande bisogno».
Sareste riusciti a ottenere oggi lo stesso risultato raggiunto con quei primi numeri?
RA: «Non ne sono certa, ma direi di sì: entusiasmo e determinazione non ci sono mai mancati».
GA: «Oggi come allora punteremmo sul momento, rileggendolo attraverso il filtro del magazine: è il solo modo per lanciare un progetto editoriale. Mi fa orrore l’idea di una pubblicazione nata da uno studio di mercato. La spontaneità è energia, ed è tutto quello che conta».