il Fatto Quotidiano, 17 settembre 2021
I fiaschi dell’Fbi
C’era una volta l’Fbi. Altro che Fidelity, Bravery, Integrity, fedeltà, coraggio, integrità, come recita il motto del Bureau. E la crisi non è iniziata oggi se si pensa che il settimanale Time già tre anni fa, il 14 maggio 2018, gli dedicò un servizio di copertina poco lusinghiero: sopra l’immagine d’un distintivo tutto ammaccato, il titolo “L’Fbi in crisi: è peggio di quel che pensate”. Non che una volta fossero tutte rose e fiori: in 113 anni di storia, il Federal Bureau of Investigation – il nome data del 1935, sotto la direzione di John Edgar Hoover, durata quasi mezzo secolo dal 1924 al 1972 – ne ha viste di tutti i colori. E, viste in retrospettiva, anche operazioni di prestigio – l’uccisione di Bonnie e Clyde, l’arresto di Al Capone, l’eliminazione di John Dillinger– non furono senza magagne. Al Bureau il cinema ha dedicato decine di film e serie, basta citare Mindhunter (2017) o Il silenzio degli innocenti (“The Silence of the Lambs”) film del 1991 diretto da Jonathan Demme che aprì il filone dei profiler per stanare i serial killer.
Ma la testimonianza di fronte a una commissione del Senato di Simone Biles, la super-ginnasta Usa ritiratasi da alcune gare dei recenti Giochi di Tokyo per eccesso di stress, e di alcune sue colleghe, ha messo in evidenza all’opinione pubblica che l’inerzia e l’ignavia degli agenti federali, i G.men dei polizieschi anni 50, hanno consentito al dottore stupratore della nazionale di ginnastica femminile degli Stati Uniti, Larry Nassar, di “perpetuare” i suoi comportamenti criminali nonostante le denunce. Biles e centinaia di altre ragazze e donne furono molestate da Nassar che sta ora scontando l’ergastolo. L’Fbi rappresenta la polizia federale degli Stati Uniti ed è il braccio operativo del Dipartimento di Giustizia: ha competenza su tutto il territorio nazionale per circa 200 tipi di reati, fra cui quelli di terrorismo. La sede centrale è a Washington, in un edificio intitolato al direttore Hoover: ha sedi distaccate sparse in tutta l’Unione e i suoi agenti godono di prestigio e di privilegi investigativi.
Le inefficienze e i lassismi rivelati dalla Biles e dalle sue compagne sono solo l’ultimo di una serie di flop. Tanto per citare alcuni esempi: l’Fbi ci mise 18 anni per arrestare nel 1996 “Unabomber”, Theodore John Kaczynski, un ex professore di Matematica, docente universitario che, con i suoi ordigni, uccise tre persone e ne ferì decine; dopo l’attentato alle Olimpiadi di Atlanta, nel 1996, l’Fbi perseguì per anni la pista dell’uomo sbagliato, Richard Jewell, cui è stato dedicato un film di cassetta, prima di scovare nel 2003 il vero colpevole, Eric Rudolph. E ancora: prima degli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001, l’Fbi trascurò numerosi indizi che potevano portare a sospettare di quegli allievi di scuole di volo interessati a imparare a decollare, ma poco attenti alle lezioni di atterraggio. E i federali non hanno mai raccolto prove sufficienti a individuare e incriminare il responsabile degli attentati all’antrace che fecero vittime nell’autunno del 2001. Ombre politiche gravano sull’operato dei suoi direttori. Robert Mueller, scelto da George W. Bush e confermato da Barack Obama, è stato il procuratore speciale un po’ accomodante del Russiagate. E il suo successore James Comey, nominato da Omaba e licenziato da Donald Trump, è un campione d’incoerenza: prima dell’elezione del magnate, sembrò fare di tutto per screditare la sua rivale Hillary Clinton; subito dopo, non stette al gioco di Trump che gli chiedeva d’affossare il Russiagate; licenziato, il suo libro di memorie ‘anti-magnate’ è un successo, ma la sua figura non è limpida. L’attuale direttore Christopher Wray, insediato da Trump – e finora confermato da Biden –, indicò che il suo primo obiettivo era “riportare la serenità dentro il Bureau”, dove alcuni agenti agivano con eccessiva autonomia.
Alcuni altri esempi di scarsa efficienza e affidabilità: l’ex vicedirettore Andrew McCabe non indagò sulla Fondazione Clinton perché sua moglie vi era implicata; prima della Maratona di Boston del 2011, i servizi russi segnalarono che uno dei fratelli ceceni che poi misero la bomba si era radicalizzato, gli agenti dell’ufficio centrale del Massachusetts indagarono, ma non seppero impedire la strage. Nel loro rapportò gli investigatori scrissero che non avevano trovato “alcun nesso” tra Tsarnaev e il terrorismo islamico.
E ancora: l’Fbi aveva indagato due volte l’afghano responsabile nel 2016 della carneficina omofoba al nightclub Pulse di Orlando in Florida, senza trovare nulla per incastrarlo e fermarlo; e, nel 2018, le segnalazioni sull’autore della strage nel liceo di Parkland furono sottovalutate e il ragazzo poté dotarsi di armi letali.