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 2021  settembre 17 Venerdì calendario

Intervista a Massimiliano Gallo

«Il mio momento magico arriva dopo un’infinita gavetta. Con l’età il successo lo accogli con più serenità e distacco, ti godi i momenti. Sono appena stato a Venezia con due film stupendi, non ho dormito la notte malgrado fosse la mia nona volta alla Mostra. Ora sono al cinema con un film che è un carezza che mi faccio».
Massimiliano Gallo, 53 anni, ha pubblicato su Twitter l’elenco delle sale che danno Il silenzio grande di Alessandro Gassmann, tratto dalla pièce di Maurizio de Giovanni.
Interpreta uno scrittore di successo, dalla creatività "incontinente", che assiste impotente alla decisione di moglie (Margherita Buy) e figli di vendere la villa di Posillipo comprata grazie al suo successo, sfogandosi nello studio con l’unica sua alleata, la governante Marina Confalone.
Il film è sul rapporto padre e figlio. Lei e Gassmann su questo fronte avete un vissuto simile.
«Sì: tanto lavoro, il venire da due famiglie d’arte, da padri importanti, Vittorio e Nunzio. Conosciamo questo mondo e le sue logiche, siamo amici e condividiamo l’etica del lavoro. Ci piacerebbe andare avanti, regista e attore».
Lei sul palco è salito a cinque anni.
«Mia madre mi ci ha buttato vestito da Zorro, la Z cancellata, a ballare il tango a un saggio di bimbi. Poi facevo le imitazioni di Lando Buzzanca e il teatro d’estate fino alla maturità. Il debutto con Carlo Croccolo e altri registi capocomici, Aldo e Carlo Giuffrè, Salemme. Una formazione fatta sul campo: cabaret, teatro, musical, ho fatto di tutto».
Il momento più difficile?
«All’inizio sei giovane e scalpiti, guardi gli altri salire su treni, non sai che col tempo li ritroverai fermi alla prima stazione. La carriera si misura in una vita; penso a Morandi, icona per generazioni. Sul set di Sorrentino, È stata la mano di Dio , nei messaggi a Servillo l’ho chiamato "maestro". Era imbarazzato ma per me il maestro è l’esempio: sul set era il primo ad arrivare la mattina, a mettersi di quinta per darti il controcampo».
Sorrentino ha detto che da tempo voleva lavorare con lei.
«Quando mi ha chiamato ho detto sì prima ancora di leggere il ruolo».
Attori si nasce o si diventa?
«Bisogna stare attenti a quelle scuole che ti prendono in giro per anni, senza dirti la cosa principale: se non hai talento questo lavoro non lo puoi fare. Si nasce attori, ma non basta, ci devi aggiungere un lavoro infinito».
Il film di Gassmann parla dei piccoli silenzi che si accumulano nelle famiglie creando grandi muri...
«Sono cresciuto nella confusione: a casa mia eravamo mamma, papà, quattro fratelli, le balie, i cani. Ma ricordo che papà era di quella generazione a cui per dire le cose bastava uno sguardo. Alcuni silenzi li ho elaborati solo quando sono diventato grande. Facendo analisi ho capito che da adulto ero arrabbiato con mio padre, non giustificavo che fosse invecchiato, che cadesse il mito che avevo costruito su di lui».
Il rapporto con i suoi fratelli?
«Ero il più piccolo, il cocco di casa. Ho il ricordo di una famiglia unita dove mio padre cercava di compensare la quantità delle assenze con la qualità del tempo trascorso insieme, quando c’era, nelle estati passate a Ischia. Io cerco di fare lo stesso con mia figlia».
L’insegnamento di suo padre?
«Non si è mai preso sul serio. Era l’unico diplomato al conservatorio e non si faceva chiamare maestro. A ottant’anni aveva l’entusiasmo del primo giorno di scuola».
Ha lavorato con Totò, Anna Magnani, Eduardo De Filippo.
«Totò lo portò a Il musichiere per fare la sua controfigura canora, lui cantò tutte le sue canzoni. Quando andava a casa sua, quello prendeva malloppi di banconote e dava soldi a tutti, anche per strada, ha fatto grandi gesti di beneficenza. Nel teatro di varietà con Anna Magnani, papà e Carlo Giuffrè, fidanzati con due ballerine, rubarono i tutù e si presentarono al loro posto in scena, parlando come Stanlio e Ollio: lei dovette chiudere il sipario per le risate. Con Eduardo Nunzio ha fatto l’ultima regia, Bene mio e core mio .
Era l’83, lo chiama a casa, papà si preparava per il provino, ma Eduardo non sa se farglielo fare. Lui chiama papà "maestro", papà lo chiama "commendatore". Si siedono, parlano solo di canzoni, arriva il caffè ed Eduardo glielo porge con una battuta della pièce. Mio padre , allora, così risponde. Alla fine lui chiede del provino, ed Eduardo: "Lo avete già fatto"».
Teatro, cinema, ma la popolarità le è arrivata con la tv.
« Sirene è stata molto vista ma con I bastardi di Pizzofalcone c’è stato un cambio di popolarità. La prendo con tranquillità, perché venendo da una famiglia di artisti so bene che dopo un anno già non ti fermano più».
Dal 20, su Rai 1, parte la terza stagione.
«Sono curioso, ho la sensazione che questa potrebbe essere la più bella.
Esce tutta la vulnerabilità dei personaggi, all’interno di condizioni straordinarie. C’è uno sviluppo nel mio personaggio: dopo l’esplosione che porta fuori le sue fragilità, Palma si troverà anche in situazioni particolari. Fin dai primi episodi poliziotti e dirigenti mi hanno chiamato per dirmi che si sono riconosciuti profondamente in lui».