Il Messaggero, 16 settembre 2021
La nuova Rai taglia gli sprechi
ROMA Andrebbe chiamato l’«assedio di Fuortes Apache». In Rai, tutti vogliono qualcosa – poltrone, prebende, rassicurazioni, trasmissioni, ascolto – dal nuovo ad plenipotenziario nella tivvù pubblica al tempo di Draghi. Ma lui, Carlo Fuortes, è in primo luogo concentrato nel far quadrare il bilancio e sanare i 300 milioni di rosso aziendale. Proprio per questo – vedi alla voce risparmi – non rientra nei piani di Fuortes ed è sparito dal tavolo del Cda il piano insensato e dispendioso, quello approvato in zona cesarini e alla chetichella dal vecchio Cda a guida Marcello Foa e molto attento alle istanze nordiste, che prevedeva entro il 2025 lo spostamento di pezzi di Saxa Rubra in una nuova Saxa Rubra padana. A Milano, nell’area del Portello. Ecco un primo risultato della nuova stagione della Rai: di quell’improbabile disegno anti-romano, caro alla Lega ma anche a certa sinistra del Nord, al Settimo Piano di Viale Mazzini non si trova più traccia. Un progetto desaparecido – e verrebbe da aggiungere: triste, solitario y final – lo definiscono alcuni consiglieri della tivvù. Soltanto un’operazione immobiliare per favorire l’area del Portello. A tutto svantaggio delle casse del servizio pubblico.
I SOLDI DI TUTTI
Il progetto è stato accantonato, ma attenzione ai colpi di coda, oltre che per motivi geopolitici (dare altro a Milano che già ha tutto avrebbe significato togliere a Roma un altro pezzo di industria ed estirpare il cuore produttivo della Rai dalla città che ne è naturalmente il suo corpo in quanto Capitale), anche per motivi economici e di bilancio. La Rai che deve risparmiare e in cui la cura di razionalizzazione e di anti-sprechi di Fuortes e appena cominciata, non può permettersi operazioni a vanvera con i soldi pubblici, con il denaro che tramite il canone arriva dai contribuenti. «Si trattava soltanto – così dice Michele Anzaldi, mastino di Italia Viva in commissione di Vigilanza, ma ugualmente la pensano un po’ tutti – di uno spot di Foa ad uso elettorale della Lega».
La riqualificazione del Portello a centro produttivo televisivo comporterebbe, si fa notare a Viale Mazzini dove il nuovo Cda esiste da quest’estate, la creazione di un polo dalla superficie di 16/20 mila metri quadrati sulla quale dovrebbero sorgere ben sei studi televisivi, di cui uno di grandi dimensioni, tre di medie dimensioni e due più piccoli. Le spese per questa duplicato di Saxa Rubra non sarebbero sostenibili, specialmente in questa fase di vacche magre, dal pachiderma Rai che ha il bisogno di dimagrire, per crescere di più e diventare maggiormente competitivo sul mercato interno e internazionale.
Oltretutto, e questo è un altro ragionamento che si va facendo al Settimo Piano, il ventilato trasloco milanese di Saxa Rubra sarebbe avvenuto – e anche per questo non avverrà – secondo una scelta di tempo che più anti-storica non si può immaginare. Roma è la Capitale del cinema e dell’audiovisivo in cui si sta per creare la nuova Cinecittà, con altre aree e altri studios disponibili per ogni tipo di produzioni italiane e straniere, sia cinematografiche sia televisive. Allontanare la Rai da questo colosso nascente, e ci sono i soldi del Pnrr, per farlo ma anche tanti problemi da superare, sarebbe illogico e penalizzante. E ancora: c’è una rinnovata capacità di attrazione della Capitale per le produzioni di serie e di film – come dice tra gli altri Giancarlo Leone, presidente dell’Apt, Associazione Produttori Televisivi – e le grandi piattaforme globali come Netflix o stanno già investendo sull’Italia intesa come Roma o si stanno preparando a farlo. Il tutto in una città che delle 700 aziende audiovisive italiane, con 180mila persone occupate al netto dell’indotto, ne ospita nel suo territorio più della metà. Sradicare la Rai da questo contesto già esistente e sempre più in espansione? «Ma suvvia...», è il commento nella nuova governance della tivvù.
Le cui esigenze sono altre. E che è sotto il mirino dell’attenzione pubblica per tutto. Anche, come in questi giorni, per la questione di genere. E ieri Fuortes ha detto – partecipando alla presentazione dei palinsesti radio, con il direttore Roberto Sergio che ha assegnato a Baudo il premio per i 60 anni del primo prodotto radiofonico realizzato da Pippo nel 1961 – che «sulle ultime nomine c’è stato un difetto di comunicazione. Si è trattato di spostamenti interni al top management che effettivamente è in prevalenza maschile: solo il 19 per cento è donna. E questa è una cosa sbagliata, ma la ereditiamo dal passato».
MALUMORI
Ciò significa, per esempio, che per bilanciare, il prossimo direttore del Tg1 – nomina a metà ottobre – sarà una donna e il nome che gira di più è quello di Simona Sala, attuale direttrice dei Gr? Intanto nel Pd il nome che agita è un altro: Francesca Bria, messa in Cda proprio dai dem, su spinta del ministro Orlando ma con tutte le correnti a favore, verso la quale – se ne parlerà anche domani nel summit dei vertici del partito dedicato alla tivvù – una buona fetta del partito è indispettito: «Ci snobba, non collabora e soprattutto non fa pesare la sua presenza in Cda». E chissà che cosa produrranno questi malumori.