La Stampa, 15 settembre 2021
Biografia di Stephen Breyer
Più drammatico di così, considerando il ruolo e la sua natura, Stephen Breyer non potrebbe essere: «Dobbiamo proteggere lo stato di diritto, e il principio di accettare le sentenze dei tribunali soprattutto quando non le condividiamo, perché è la nostra ultima linea di difesa da dittatura e tirannia. Alcuni si lamentano della partigianeria politica delle nostre corti, e minacciano di non rispettarne i verdetti, perché non le riconoscono come eque. La mia risposta è invitarli ad osservare bene cosa accade nei Paesi dove le garanzie dello stato di diritto non esistono».
Il giudice decano della Corte Suprema parla così ad un seminario dell’organizzazione culturale di Manhattan 92Y, dove risponde alle domande del fondatore del Carlyle Group David Rubenstein e del pubblico. L’occasione è la presentazione del suo libro «The Authority of the Court and the Peril of Politics», che sostiene proprio la necessità di isolare il massimo tribunale americano dalle interferenze politiche, perché altrimenti verrebbe visto dai cittadini come uno strumento dei partiti e perderebbe l’autorevolezza conquistata in un paio di secoli. Più facile a dirsi che a farsi, perché negli ultimi due anni il leader dei repubblicani al Senato, McConnell, ha ordito due colpi di mano che hanno violato quanto meno lo spirito della Costituzione, danneggiando l’indipendenza e quindi la credibilità della Corte. Prima, nel 2016, si è rifiutato di tenere le audizioni per la conferma del giudice Garland, nominato da Obama per sostituire Scalia, sostenendo che siccome quello era un anno elettorale bisognava aspettare il verdetto del popolo, e dare al presidente eletto la possibilità di scegliere il nuovo magistrato. Poi, nel 2020, aveva rinnegato questo suo principio, per accelerare la conferma della giudice conservatrice Barrett al posto della liberal Ginsburg, un paio di settimane prima delle elezioni vinte da Biden. Così ha creato una maggioranza di 6 magistrati conservatori contro 3 liberal, che a giudicare dal risultato delle presidenziali non rappresenta il sentimento della nazione. Ciò ha posto un’enorme pressione su Breyer, perché ha 83 anni. Quindi i democratici gli chiedono di non ripetere l’errore della Ginsburg e dimettersi ora, consentendo a Biden di nominare un giudice liberal più giovane.
Lui sa che questa domanda è nella mente di tutti, e da qui comincia: «Non è vero che io vengo da un altro pianeta, e quindi non so cosa accada sulla Terra. Sono ben informato sulle dinamiche politiche, così come la mia salute e il nostro ruolo istituzionale. Terrò conto di tutti questi fattori, nella decisione sul mio futuro. Come ho già detto, però, non ho intenzione di morire nella Corte».
Il discorso quindi riparte dalle origini, cioè perché i padri fondatori avevano voluto questo tribunale: «Per garantire che Casa Bianca e Congresso non scavalcassero i confini della Costituzione. È molto chiaro, leggendo il Federalista. Se la presidenza ha il potere della spada, e il Parlamento quello della borsa, cosa resta al potere giudiziario? Quello di affermare la giustizia nel nome di tutti, non solo i democratici, i repubblicani, o chi ti ha nominato». Secondo Breyer è stato sempre così: «Quando Eisenhower mandò i paracadutisti in Arkansas per accompagnare a scuola gli studenti neri, la Corte votò all’unanimità in favore dell’integrazione». Alla gente forse non sembra, ma lo spirito è ancora questo: «La maggior parte delle sentenze vengono ancora decise così. Quelle in cui il tribunale si spacca, 5 voti contro 4, sono la minoranza, e la composizione dei 5 e dei 4 non è sempre la stessa». Questo sarà vero per le sentenze più tecniche, ma non per quelle politiche che attirano l’attenzione del pubblico, tipo l’ultima a favore della legge che limita l’aborto in Texas: «È stata una scelta sbagliata, ma circoscritta. Non è l’ultima parola definitiva sulla questione, che tornerà alla Corte entro la fine dell’anno».
Se però la gente si convince che i giudici sono strumento della politica, la disponibilità ad accettare le loro sentenze crolla. Proprio per questo, Breyer rifiuta l’idea allo studio di una commissione creata da Biden, per aumentare il numero dei magistrati nel massimo tribunale allo scopo di diluire la maggioranza conservatrice: «Farebbero meglio ad essere prudenti, perché sono in due che possono giocare questo gioco. Potrebbero farlo i repubblicani e i democratici, e viceversa. Il risultato sarebbe un indebolimento della fiducia della persona media nelle decisioni della Corte». Questa fiducia però è già ai minimi termini, e se non verrà ricostruita metterà a rischio la tenuta stessa della democrazia americana.