ItaliaOggi, 15 settembre 2021
I Maori vogliono cambiare nome alla Nuova Zelanda
«Siamo un Paese polinesiano, siamo Aotearoa». Rawiri Waititi, leader del Partito Maori, vuole cambiare nome alla Nuova Zelanda: un ritorno alle origini, al Te Reo, alla «terra della lunga nuvola bianca», stando alla traduzione letterale del nuovo appellativo.
La richiesta non è nuova, ma questa volta il Te Paaty Maori pare fare sul serio: ha lanciato una petizione sul proprio sito internet e ha aumentato il pressing istituzionale, chiedendo che anche la toponomastica neozelandese imbocchi la strada della lingua maori entro il 2026.
Una proposta sulla quale ha chiesto l’impegno del parlamento: «Siamo nel ventunesimo secolo, tutto questo deve cambiare», ha detto il politico presentando l’iniziativa per scrollarsi di dosso il ricordo dell’epoca coloniale, quando i cartografi dei Paesi Bassi chiamarono questo territorio dell’Oceania come la provincia olandese da dove arrivavano i primi colonizzatori, la Zelanda. «Siamo stufi che i nostri nomi ancestrali vengano imbastarditi e ignorati».
I Maori sono la più grande minoranza etnica in Nuova Zelanda, rappresentano il 16,5% della popolazione e il Te Reo Maori è diventata lingua ufficiale nel 1987, insieme all’inglese. Ma il partito di Waititi ora vuole un riconoscimento ancora maggiore e anche la premier Jacinda Ardern apre a questa possibilità. Recentemente aveva ammesso come nella vita quotidiana i nomi Nuova Zelanda e Aotearoa fossero ormai intercambiabili: a diversi livelli istituzionali viene usato il termine indigeno e anche alcune aziende lo impiegano. E per il primo ministro neozelandese questa «è una cosa positiva. Che lo cambiamo o meno per legge, non cambia il fatto che i neozelandesi facciano sempre più riferimento ad Aotearoa». Ma nonostante un uso più frequente nel paese è mancata l’ufficializzazione, ciò che ora reclamano i maori.
«Aotearoa è un nome che unificherà il nostro paese piuttosto che dividerlo», ha detto Waititi, «Altri stanno cercando di usarlo come uno strumento di divisione, ma questo è uno strumento inclusivo, in cui i nostri antenati hanno acconsentito a vivere tutti insieme in questa terra».
Lanciando la petizione l’altra leader del Partito Maori, Debbie Ngarewa-Packer, ha rimarcato come sia un «dovere della Corona fare tutto il possibile per ripristinare lo status della nostra lingua. Ciò significa che deve essere accessibile nei luoghi più ovvi; sui nostri televisori, sulle nostre stazioni radio, sui segnali stradali, sulle mappe, sulla pubblicità istituzionale e nel nostro sistema educativo».
La proposta del cambio nome non è esente da controversie. Sia di natura politica che storica. La leader del partito nazionale, conservatore, Judith Collins, ha chiesto un referendum sull’uso di Aotearoa, mentre il deputato Stuart Smith ha lanciato l’idea di vietarne l’uso da parte dei funzionari pubblici, e, sempre da destra, arrivano le critiche di David Seymour del partito liberale Act: «Le persone sono già libere di usare i toponimi Mori. Quello che il Partito Maori sta dicendo è che vorrebbe vietare alle persone di chiamare il nostro paese Nuova Zelanda». C’è poi chi critica la proposta perché si ritiene che il nome indigeno originariamente si riferisse solo all’Isola del Nord e non, invece, all’intero paese.