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 2021  settembre 15 Mercoledì calendario

Non scherziamo sul Prosecco

«300 vitti di Toccai». C’era anche questo nella dote che Aurora, figlia del nobiluomo Carlo Formentini, consigliere e ciambellano dell’imperatore Ferdinando II e di Anne Marie Von Rohrbach, dama di corte di Cecilia Renata d’Austria, portò come dono di nozze al conte ungherese Adam Batthyany. C’erano pure 10.000 «fiorini allemanni», «pezzi» di tendaggi e di damaschi e «Battisele, Atrezzi et Robbe» e perfino «un Servidore et due Contadini». La dote più interessante, però, erano quei trecento vitigni di Tocai. Prova provata, grazie a quel contratto di matrimonio firmato il 3 febbraio 1632 e ripreso nel libro Il Vigneto Friuli dall’arrivo dei Romani alla “partenza” del Tocai, di Claudio Fabbro, che già 389 anni fa, quando la peste manzoniana imperversava in Toscana dopo aver devastato il nord, il nostro Tocai non solo era già presente nell’area goriziana e dintorni da chissà quando («il Senato Romano, narra Tito Livio, inviò ad Aquileia una colonia, allo scopo di diffondere la viticoltura e la cittadina divenne uno dei massimi empori vitivinicoli») ma era così rinomato da spinger la famiglia dello sposo a chiederne in quantità. Non bastasse, un brindisi composto nel 1765 da Giorgio Polcenigo per il matrimonio del marchese Ridolfo di Colloredo con la contessa Claudia di Maniago conferma un secolo e mezzo dopo quanto quel vino fosse amato: «Se la dama di Duino / vin mi porge peregrino/ cento volte a lei la mano / bacerò per l’atto umano / Se la sposa dà Toccai / canterò con l’aurea lira / ciò che tanto in lei s’ammira / lo splendor dei dolci rai». Tutto questo, altri documenti e la differenza netta tra il nostro e il Tokaji ungherese (che negli spot si vanta di essere «il primo vino muffato mai prodotto dall’uomo, un nettare dolce come ambrosia»), non servirono a niente, una trentina d’anni fa, davanti alla commissione Ue, quando il nostro Tocai fu «espulso». Se stavolta fosse spartito coi croati il nome Prošek (un liquore tipo passito) che ad ogni orecchio straniero scippa la fama mondiale del prosecco, sarebbe davvero il colmo. Tanto più con la motivazione che «i produttori ritengono che Prošek sia un marchio riconosciuto dai consumatori e che il nome solo Prošek possa contribuire al posizionamento favorevole di questo prodotto sul mercato». E lo dicono pure...