la Repubblica, 15 settembre 2021
Perché non nasce un esercito europeo
Una vera task force, indipendente negli interventi. Cinquemila militari pronti all’azione; altri mille dedicati al supporto logistico, ossia alle navi e agli aerei destinati a permettergli di schierarsi ovunque. E con loro, nuclei di specialisti, indispensabili nei conflitti di oggi: incursori, tecnici cyber, operatori dell’intelligence. Tutto diretto da un comando indipendente dalle gerarchie nazionali, creato a Bruxelles per prendere ordini dalla Commissione. In teoria, non dovrebbe essere difficile per l’Europa mettere in campo una forza simile: oggi i Paesi dell’Unione dispongono complessivamente di quasi un milione e mezzo di soldati, marinai, avieri con migliaia di aerei e centinaia di navi da guerra. Destinarne il 4 per mille tanti sono i seimila militari previsti dal piano – all’armata comune può sembrare un’inezia. Invece si tratterebbe di una rivoluzione.
Una task force del genere permetterebbe di disporre dello stesso contingente schierato in poche ore dal Pentagono a Kabul per proteggere la ritirata: garantirebbe finalmente all’Europa il primo embrione di “autonomia strategica”, rendendola capace di compiere missioni in territorio ostile senza gli Stati Uniti. Finora non è mai stato possibile. Ed è per questo che di fronte alla partenza delle truppe Usa dall’Afghanistan gli alleati del Vecchio Continente sono stati costretti ad accodarsi, pur convinti che si trattasse di uno sbaglio. Mentre 5mila soldati “combat ready” sotto bandiera Ue sarebbero stati in grado di offrire una soluzione alternativa, mantenendo ad esempio reparti occidentali nella capitale afghana e in un paio di altre città: quanto sarebbe bastato a sostenere le divisioni del governo anti-talebano.
L’Ue finora è riuscita a realizzare alcune operazioni rilevanti, che attualmente impegnano circa 5mila donne e uomini, tutte però in attività molto poco “combat”. Le missioni più importanti sono navali: Atalanta, per proteggere dai pirati i mercantili a largo del Corno d’Africa, e Irini, versione ridotta della precedente Sophia nata per contrastare il traffico di migranti nel Mediterraneo. La più antica è in Bosnia; le più significative dal punto di vista geopolitico sono le tre dislocate nel Sahel, esclusivamente per l’addestramento degli eserciti di Mali, Niger e Burkina Faso. E proprio l’Africa è il terreno dove più urgente creare un ostacolo alla crescita del terrorismo jihadista, che punta a instaurare un nuovo Stato Islamico.
Ma all’Europa manca un vero battlegroup. Sulla carta ne esiste uno, con 1500 soldati che cambiano ogni sei mesi. Uomini, mezzi e vertici vengono forniti a rotazione da 14 Paesi. Di fatto, però, si tratta di un battaglione virtuale, privo di capacità operativa. Per questo la nuova task force ipotizza una mobilitazione più lunga – 2-3 anni – che permetta a fanti e ufficiali di conoscersi, imparando ad agire insieme. Uno dei problemi più urgenti, poi, sono i cargo. Nessuna aeronautica possiede i grandi C17 americani, protagonisti del ponte aereo da Kabul: in compenso tutte sono uniformate su due modelli – Airbus 400 e Lockheed C-130 – il che faciliterebbe la nascita di una squadriglia Ue. Di sicuro, però, c’è bisogno di aerei più capaci.
Il percorso per la nascita della task force Ue non sarà facile. Finora ogni progetto è affondato sotto il tiro incrociato di gelosie nazionali, lentezza degli eurocrati e ambizioni di leadership francese. Un fattore quest’ultimo che continua a pesare molto: «Un’armata europea per arrivare a Bruxelles deve passare da Waterloo. E se la guida Parigi, sappiamo che non andrà oltre...», commenta un alto ufficiale, sottolineando l’opposizione degli altri Paesi al monopolio militare francese che – tra l’altro – candida da tempo il suo comando di Strasburgo come quartiere generale dell’Unione.
Un ultimo punto, infine, il più delicato. Qualsiasi missione in zona di guerra ha bisogno di una rete di intelligence, che raccolga informazioni sulle minacce e le monitori con infiltrati, intercettazioni, satelliti, droni, aerei spia. Su questo fronte la collaborazione tra singoli Stati è ancora più difficile, se non impossibile. Non a caso, la vittoria a Waterloo è stata decisa dall’entrata in scena di un esercito che era sfuggito ai controlli. Ma l’Europa sa imparare dai suoi errori?