Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 14 Martedì calendario

Il 40% degli italiani è superstizioso

 Ci sono le superstizioni tradizionali, come il cornetto rosso, meglio di corallo, che porterebbe bene o lo specchio rotto che, invece, assicurerebbe disgrazie, come il passaggio sotto una scala o il sale caduto a tavola. E, poi, quelle più intime, spesso non confessate, personali: l’abito portafortuna, le scarpe del primo appuntamento, la camicia da mettere ad ogni colloquio o magari, l’incontro in cui sperare purché avvenga entro una certa ora. Gli italiani sono superstiziosi. Anzi, lo sono sempre più. I numeri di quanti, nel nostro Paese, si affidano a piccoli – o grandi – riti, gesti, talismani per affrontare con più sicurezza il domani, sono alti. E, in epoca di pandemia, sono cresciuti sensibilmente.
NUMERI
Da un sondaggio Swg è emerso che, quest’anno, a ritenere di essere superstizioso è ben il quaranta per cento degli italiani. Il 5% confessa di esserlo sempre, il 35% solo in alcune situazioni. Di fatto, forse, quando serve. E se la percentuale è già alta, il dato diventa ancora più rilevante, quando si confrontano le cifre di questi mesi con quelle degli anni precedenti. A credere nella sfortuna, nel 2015, era il 36% dei connazionali. Nel 2017, il dato è salito al 37%. Il 40% raggiunto nel 2021 conferma un trend, che la pandemia pare aver accelerato. Insomma, come sottolinea lo studio, guardando alla spiritualità nelle sue varie forme, si conferma «una tensione e una ricerca verso modelli di spiegazione della realtà e di gestione della propria esperienza di vita che superano la dimensione della razionalità scientifica». Laddove la quotidianità non fornisce più risposte, o quantomeno non quelle desiderate, le domande si pongono altrove. Prima della pandemia, stando ai dati Codacons, erano già oltre trentamila gli italiani che, ogni giorno, si rivolgevano, per un consulto, a maghi, astrologi e veggenti. «La superstizione – spiega Anna Maria Giannini, docente di psicologia all’ateneo romano Sapienza e psicologa clinica dell’Ordine Psicologi Lazio – ha a che fare con le condizioni di maggiore incertezza e dubbio. La condotta superstiziosa si mette in campo perché è rassicurante. Tante persone, magari, dicono che non sanno se avere con sé un cornetto serva ad attirare la fortuna, ma nel dubbio lo tengono. È un meccanismo non patologico che, bene o male, riguarda tutti. In situazioni di grande tensione e instabilità, scattano ancora di più le condotte di tale tipo». Così, forse, una sorta di effetto Covid. «Nel caso del Covid, abbiamo sperimentato una delle più grandi incertezze della nostra vita. La gente, colta da grande instabilità su un aspetto chiave della persona, la salute, quindi in condizioni di insicurezza, appunto, più facilmente ha fatto ricorso a meccanismi superstiziosi, in quanto rassicuranti e perché costano poco. Se lo si possiede, non costa nulla portare con sé un talismano, che si crede protettivo».
FRAGILI
Il fenomeno è trasversale. Molti sono superstiziosi, tutti possono diventarlo. «Non c’è una correlazione con età o genere – continua – ma con la percezione di fragilità, ossia il fatto di sentirsi insicuri. Accade a tutti, ma, in certe età, si è o ci si sente più fragili. A fare la differenza sono principalmente, però, differenze individuali, storie personali, benessere, retaggio culturale. La superstizione, in sé, in quanto rassicurante, fa stare meglio, non è nociva, a patto che non diventi dipendenza. Se troppo rigida, però, può diventare un ostacolo alla flessibilità di pensiero e un problema». Può pure, per paradosso, tradursi in sfortuna. «La superstizione è patologica quando condiziona la vita delle persone – conclude Giannini – ossia quando, se non ho il mio cornetto o altro, mi sento fortemente insicura e determino quasi inconsciamente che le cose vadano male: mi impegno meno o, sentendomi incerta, ho una performance peggiore, faccio errori. Questo rafforza ancora di più la convinzione che il talismano funzioni».