il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2021
Quei viaggi di rubli e dollari
“Questo libro nasce da un litigio di cui mi ritrovai testimone”, racconta Gianluca Calvosa. Quello tra due ex comunisti che a distanza di lustri l’uno dall’altro avevano ricoperto ruoli di primo piano nel Pci. Esce oggi in libreria “Il tesoriere” ambientato nei Settanta: una spy story ispirata dai racconti a Calvosa di alcuni protagonisti di Pci e Dc di quegli anni, tra cui Gianni Cervetti, tesoriere del Pci di Berlinguer e subentrato a Cossutta. Il brano che riportiamo è del giugno 1971.
A ottomila chilometri di distanza, ma in direzione opposta, un altro funzionario governativo si sarebbe imbarcato per motivi analoghi su un altro volo diretto a Roma. Anche il suo bagaglio, una valigetta in pelle nera con doppia serratura in ottone, era assicurato al polso da una catena. E anche Vladimir Tokarev viaggiava con credenziali diplomatiche che, una volta giunto all’aeroporto internazionale Šeremét’evo, gli avevano consentito di usare l’esclusivo accesso riservato agli alti funzionari del partito e agli ospiti istituzionali. Una soluzione che dietro il pretesto di un trattamento di riguardo permetteva al KGB un controllo puntuale del transito di personale e bagagli speciali, sottraendolo allo sguardo dei curiosi.
A scortare Tokarev fin sotto la scaletta del Tupolev Tu-134 dell’Aeroflot erano stati due uomini dei servizi. (…). Altri due funzionari avevano accompagnato sua moglie e sua figlia per una breve vacanza fuori Mosca in una dacia riservata a ospitare i quadri ministeriali. (…). Il compito che gli era stato affidato non gli aveva garantito un posto in prima classe, in quanto la dottrina comunista non consentiva di acquistare privilegi sul mercato.
Secondo il protocollo al quale era ormai abituato, però, Tokarev era salito a bordo dopo che tutti i passeggeri erano già seduti e i preparativi per la partenza completati. Una volta atterrati, sarebbe sceso per primo. Per questo motivo gli veniva riservato uno dei due posti di corridoio della prima fila, per il resto lasciata di proposito vuota. (…). L’arrivo a Fiumicino fu un sollievo per Tokarev. (…).
Come previsto, allo sbarco trovò ad attenderlo sotto la scaletta due addetti all’ambasciata russa che lo scortarono fino al controllo passaporti. Lì un agente della polizia doganale si sbracciava, chiedendo alle persone in coda di tenersi a ridosso della parete su cui spiccava un grande manifesto del Colosseo. Alle loro spalle arrivava a passo svelto Victor Messina, preceduto da due agenti della polizia italiana in divisa. L’americano filò dritto senza esibire alcun documento. Davanti all’atrio del terminal, l’enorme limousine nera della rappresentanza statunitense a Roma appariva del tutto sproporzionata accanto alle utilitarie italiane. L’auto lo avrebbe condotto all’ambasciata Usa di via Veneto dove lo aspettava Luigi Ognibene, tesoriere della Democrazia cristiana, il partito di maggioranza al governo del Paese dal dopoguerra, nonché principale alleato politico degli Stati Uniti in Italia. L’incontro sarebbe durato il tempo necessario a contare i soldi, firmare le ricevute e sbrigare i pochi convenevoli di cortesia consentiti dall’inglese maccheronico del dirigente della Dc.
A distanza di pochi minuti, Tokarev salì a bordo di una Lancia Flavia con targa diplomatica che lo condusse all’ambasciata sovietica dove di norma si limitava a consegnare la valigetta e a recuperare la ricevuta dai beneficiari finali prima di ripartire per Mosca. Al suo rientro, sua moglie Katja e la piccola Elena sarebbero state puntualmente riaccompagnate a casa. Una precauzione necessaria che sembrava divertire molto la bambina. Quella sera però, diversamente dal solito, gli toccò restare a Roma avendo un’altra questione importante da sbrigare.
Nell’ufficio al secondo piano della splendida villa cinquecentesca dietro il Vaticano che l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche aveva acquisito nel ’36 alla morte degli eredi del principe georgiano Abamelek, i funzionari dell’ambasciata russa, aperta la valigia con la coppia di chiavi recapitate il giorno prima da un altro corriere, controllarono che il contenuto corrispondesse a quanto disposto da Mosca e concordato con gli italiani. Il segretario dell’ambasciatore siglò quindi la prima delle due ricevute e autorizzò la chiamata.
Nella tesoreria della sede centrale del Partito comunista italiano, il Bottegone come lo chiamavano i compagni, qualcuno aspettava quella telefonata sulla linea diretta. Poco dopo, la Lancia Flavia varcò il grande cancello di ferro battuto di Villa Abamelek e scese rapida le curve strette del Gianicolo per raggiungere il punto d’incontro con una Fiat 128 grigio topo proveniente dalla direzione del partito. Le due auto proseguirono per un po’ a vista per poi fermarsi in un parcheggio pubblico della Garbatella, a ridosso delle Mura Aureliane, dove un gruppetto di bambini in calzoni corti e canottiera urlava all’inseguimento di un pallone malconcio. Il responsabile delle finanze del Pci si riservò alcuni minuti per controllare il contenuto della valigetta, quindi siglò la ricevuta.
“Roma 25.6.1971, ricevo la somma di 1.000.000 (un milione) di dollari quale contributo straordinario per le elezioni amministrative. Marco Fragale”.