Corriere della Sera, 14 settembre 2021
Diodato scrive canzoni di domenica
Cantautore della domenica non è un complimento. Anzi. Antonio Diodato però lo è, ma in tutt’altro senso. Gli capita spesso di scrivere canzoni in quell’ultimo giorno della settimana, che però confessa di non amare: «È qualcosa che risale all’infanzia: sentivo il ritorno a scuola dopo l’illusione del non pensare a nulla del sabato. L’atmosfera della domenica mi lascia ancora oggi in uno stato di sospensione e malinconia che, però, aiuta nella scrittura: prendi la chitarra e quando arriva qualcosa pensi che la canzone ti stesse aspettando proprio lì».
A Diodato è dedicato l’Artista day di oggi, l’iniziativa di Corriere e Radio Italia che celebra i protagonisti della canzone italiana con una giornata di interviste e musica.
Quello della vittoria a Sanremo 2020 con «Fai rumore» è stato un Diodato-day?
«Sì. Quella notte e il giorno dopo lo sono stati. È impressionante vedersi ovunque, essere la notizia del giorno. Però ce ne sono stato molti di giorni speciali in questo periodo, legati al sentirsi presente nella vita di tante persone».
Anche lei cantava «Fai rumore» dal balcone nelle prime settimane di lockdown?
«No, ma è stata un’emozione violenta sentirlo. Chi rompeva quel silenzio non era diverso dall’Antonio ragazzo che in cameretta suonava la chitarra sui Led Zeppelin».
Non la ama, ma anche il suo concerto all’Arena di Verona del 19 settembre, cade di domenica...
«Sarà una grande festa dell’anima, consapevole del periodo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ma con la volontà di proiettarsi al futuro. Ne abbiamo bisogno e l’ho notato guardando negli occhi della gente ai concerti che ho fatto in queste due estati anormali. Dobbiamo riprenderci uno spazio interiore per far risuonare delle armonie».
Il suo spazio interiore?
«In questi giorni sto affrontando un trasloco, ma mi muovo dal terzo al quinto piano dello stesso palazzo... Battute a parte, il mio spazio è desideroso di riempirsi delle energie che arrivano sul palco e poi di svuotarsi».
La musica non ha ancora trovato uno spazio post-pandemico...
«Nella vita di tutti i giorni si permettono delle cose che non vengono permesse alla musica. E, visti gli esempi di altri Paesi europei dove i concerti sono ripresi, non capisco il perché. È necessario uno sforzo per rendere sostenibile tutto, e quindi anche la musica, e permettere a chi segue le regole di andare avanti e tornare alla normalità. E penso ad esempio al green pass».
Salmo ha fatto un concerto fuori dalle regole. Giusto o sbagliato?
«Capisco il gesto provocatorio, ma allo stesso tempo si corre il rischio di mostrare una non-realtà e questo mi spaventa. Da due anni i concerti si fanno, e io li ho fatti, seguendo le regole e facendo sacrifici».
Il 30 agosto ha compiuto 40 anni. La festa?
«A 40 anni bisognerebbe farne una grande. E ci ho anche pensato ipotizzando green pass e tamponi all’ingresso. Alla fine ho optato per una cena tranquilla a Taranto con i miei genitori e i miei amici. Ho un po’ di arretrati adesso quanto a feste...».
È arrivato alla popolarità tardi, ha iniziato anche tardi con un primo album a 32 anni. Il piano b?
«Ho fatto il contrario e mi sono detto “scegli che vita fare e seguila”. Ho capito che continuando a mettere paracaduti non riuscivo ad aprirmi e comunicare fino in fondo. E allora mi sono lanciato nel vuoto».
Per il suo ultimo brano «L’uomo dietro il campione» ha scritto su commissione per il film Netflix su Roberto Baggio. Come è avere una traccia da seguire?
«All’inizio mi ha spaventato l’idea di dover parlare di una persona vera. Però poi ho capito quanto Baggio fosse stato importante per me, è stato l’idolo dell’Antonio ragazzino, e nella sua storia ci ho trovato degli insegnamenti di vita, a partire dal rigore sbagliato ai Mondiali. Tutto è partito dal groove che crea attesa, come la vita di Baggio che è stata una vita fatta di cadute e di attese del ritorno».
E l’uomo dietro al cantautore?
«Sento molti punti in comune con Baggio. Sono uno che tiene alle cose vere e semplici e se ne frega di quelle costruite. Intendiamoci, anche quelle sono affascinanti e mi piace fare un red carpet con un bel vestito, però alla fine ho bisogno di radici, persone che mi vogliono bene con cui condividere».
Il cinema torna spesso nella sua carriera: la laurea al Dams di Roma in cinema e tv, un David di Donatello per «Che vita meravigliosa» e molti altri brani legati a film...
«Il cinema mi affascina e non è così distante dal mondo della canzone. Un attore lavora su stesso e un regista ha uno sguardo sulla realtà proprio come un cantautore».