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 2021  settembre 14 Martedì calendario

Intervista a Mario Cannella, lessicologo dello Zingarelli

Se passasse tra i ragazzi l’idea che i vocabolari sono libri che possono contenere scoperte, salveremmo non solo la lingua ma forse pure noi stessi. Perché senza consapevolezza linguistica non si va lontano. Se si capisse che le parole non sono monoliti ma entità vive, in movimento, che cambiano significato e a volte scompaiono per stanchezza, altre rinascono a nuova vita, ci si divertirebbe anche un po’ a sfogliarli. Parlare con Mario Cannella, lessicografo del prestigioso vocabolario Zingarelli, è appassionante, è una maniera di raccontare la nostra storia attraverso le parole. In occasione del lancio dell’edizione 2022 dello Zingarelli, la casa editrice Zanichelli ha pensato di portare nelle piazze 50 lemmi per mostrarne l’evoluzione dal 1922, anno della prima edizione, a oggi e coinvolgere il pubblico nel gioco delle definizioni.
Che ruolo può avere nel mondo iperconnesso un vocabolario?
«Sono convinto che sia tutt’oggi uno strumento essenziale rispetto a quello episodico del web. In Rete si può andare a verificare come si scrive una parola ma l’approfondimento è un’altra cosa.
Ci piacerebbe rilanciare il vocabolario come libro a sé, con una sua identità linguistica e culturale».
Un tempo non mancava mai un dizionario sulla cattedra, ma è ancora così?
«Ci sono moltissimi insegnanti eccezionali nelle nostre classi, contiamo molto sull’input che arriva da loro, soprattutto in coincidenza della riapertura delle scuole».
Come avete selezionato le cinquanta parole?
«Abbiamo privilegiato parole in cui è evidente la differenza di significato negli anni, come ad esempio "eutanasia". Nel 1922 la definizione è composta solo dalla traduzione dell’etimologia greca: eu e thánatos, "morte bella, tranquilla e naturale". Nel 1959 si specifica che è condannata dalla Chiesa e nel 1970 si parla di una "rapida conclusione, con qualsiasi mezzo atto a procurare la morte in modo non doloroso di un processo patologico a prognosi infausta e accompagnato da sofferenze ritenute intollerabili".
Nel 1994 il dizionario registra l’eutanasia attiva e passiva. E potrei continuare con gli esempi: il termine "resistenza" è tra i più interessanti avendo cambiato accezione dopo la lotta contro il nazismo. E "binario" oggi rimanda alla "identità di genere di chi si riconosce in uno dei due sessi biologici, il maschile e il femminile».
Recentemente è finita sotto attacco la definizione "donna" del vocabolario dei sinonimi e contrari Treccani, tacciata di sessismo.
«Come ha ricordato proprio su
Repubblica Valeria Della Valle, si trattava di un dizionario diverso da quello dell’uso. L’ultimo compito di un dizionario è fare il censore. Un esempio ulteriore: un secolo fa si parlava di "coppia" in presenza di "due persone di sesso diverso unite tra loro da un rapporto matrimoniale o amoroso", poi è sparito il riferimento alla differenza di sesso e infine è comparsa la "coppia di fatto", unita in una relazione affettiva stabile».
Difende la fu nzione descrittiva e non prescrittiva dei dizionari?
«Con lo stesso criterio allora dovremmo espungere dalla Divina Commedia moltissimi termini offensivi nei confronti delle donne e del linguaggio stesso. Il vocabolario contestualizza, specifica se un termine è disusato o spregiativo, aggiunge note d’uso o perifrasi per spiegare il contesto. Certo bisogna avere fiuto, captare i tempi. Negli ultimi anni lo Zingarelli è attentissimo a registrare tutti i femminili delle professioni».
Eppure alcune professioni declinate al femminile suonano ancora estranee. La direttora d’orchestra ad esempio. L’ultima polemica si è avuta durante lo scorso festival di Sanremo.
«Ben vengano le professioni al femminile. Se disturbano è solo per una questione d’orecchio, di abitudine. Per noi lessicografi, uno strumento di orientamento fondamentale è la stampa. I giornali hanno un ruolo importantissimo, mentre una volta il punto di riferimento era la letteratura».
Non sono invece i social network a restituire una fotografia più vivida del parlato?
«Qualcuno ci suggerisce di inserire nei dizionari anche i neologismi presenti sui social. Il fatto è che spesso si tratta di termini effimeri, destinati a non mettere radici. Da lessicografo osservo le parole per qualche anno prima di considerarne l’uso consolidato. Qualche eccezione c’è stata: il "selfie" è entrato nel dizionario celermente nel 2013. Ma in genere i tempi sono più lunghi».
Come arrivate a scegliere un neologismo?
«Nel nostro lavoro ci avvaliamo di una rete di segnalatori, oltre ad essere noi stessi i primi a dover essere vigili. A volte, quando mi imbatto in un termine nuovo, mi mando da solo dei messaggi vocali per ricordarmi di tenerlo d’occhio. Il lessicografo in cerca di parole (nuove) deve fare come un cane lagotto quando fiuta un tartufo. Il fiuto conta moltissimo».
Cercando la schwa sullo Zingarelli non si fa riferimento alla proposta di usarla al posto del maschile comprensivo, come mai?
«Abbiamo riportato il significato del termine e aggiungeremo un riferimento alla polemica già nel 2023. Questo tipo di cambiamenti grafici hanno bisogno di tempo. La nostra funzione non è educativa, possiamo solo testimoniare quello che avviene nella società».