La Stampa, 13 settembre 2021
Spacchettiamo l’Arco di Trionfo
Sette anni fa, nel villaggio alpino di Alpbach, in Austria, mi ritrovai a cena con Christo - il maestro dell’arte ambientale scomparso a 84 anni nel maggio del 2020. Ricordo la luce nei suoi occhi mentre ci raccontava quello che sarebbe stato uno dei suoi ultimi progetti - la monumentale installazione galleggiante sul lago d’Iseo. Oggi mancano pochi giorni all’inaugurazione della prima opera postuma di Christo, a Parigi, e quello che vorrei proporre è di andare subito a scartare l’Arco di Trionfo dal suo impacchettamento, sulla base di ragioni sia ambientali sia intellettuali.
Dal punto di vista dell’ambiente, al termine dell’ennesima estate arroventata, possiamo davvero permetterci di sprecare 25.000 metri quadrati di tessuto per avvolgere un monumento? L’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2 e i processi di produzione dei tessuti hanno un enorme impatto sui consumi di acqua - proprio mentre 2,7 miliardi di persone in tutto il mondo vivono in aree colpite da stress idrico. Vero è che l’Arco di Trionfo verrà impacchettato usando soltanto tessuto riciclato, ma questo non è sufficiente. A differenza delle guerre del XX secolo, la crisi climatica del XXI non sempre suscita nell’opinione pubblica un senso di urgenza. Se nel mondo occidentale stiamo cercando di lasciarci alle spalle dei modelli di consumi eccessivi, diventa altrettanto necessario abbandonare l’estetica degli imballaggi, a loro volta grandi produttori di rifiuti.
Ancora più importanti sono poi le ragioni di tipo intellettuale. L’eredità di Christo e Jeanne-Claude - sua compagna d’arte e di vita - sarà molto più longeva rispetto a una qualsiasi loro installazione temporanea. I due artisti ci hanno insegnato a vedere i monumenti urbani e i luoghi naturali con un uno sguardo diverso. Il loro processo - che ricorda il concetto letterario, reso famoso da Bertolt Brecht, di Verfremdung, o straniamento - ci ha aiutato a riscoprire i nostri paesaggi, ridefiniti da nuove silhouette di tessuto. Per dirla con le parole di Christo: «Prendiamo in prestito lo spazio e per qualche giorno creiamo delle gentili alterazioni». In questo modo diventiamo consapevoli di come edifici o ambienti considerati statici possano essere trasformati in maniera imprevedibile.
Oggi di questa consapevolezza abbiamo più che mai bisogno, in un momento in cui le nostre città stanno cercando di reinventarsi dopo la pandemia. In altre parole, abbiamo bisogno di più design speculativo, per immaginare futuri lontani e trasformazioni radicali le quali, per quanto brevi e sperimentali, potrebbero aiutare a cambiare in modo profondo il nostro presente. Questo approccio, teorizzato da Fiona Raby e Anthony Dunne al Royal College of Art di Londra negli ultimi vent’anni, è particolarmente necessario nel campo della pianificazione urbana: un settore in cui la burocrazia, la politica e l’inerzia spesso intervengono a rendere vane le spinte alla trasformazione, ostacolando lo sviluppo delle buone pratiche. I nostri progettisti e i nostri ambienti urbani hanno bisogno delle scintille creative e audaci che figure come Christo e Jeanne-Claude hanno spesso saputo creare.
Le tecnologie possono mostrarci nuovi modi di realizzare questi obiettivi. Attenzione: non stiamo suggerendo di avvolgere l’Arco di Trionfo in centinaia di materiali diversi usando Photoshop, o di osservarlo da vicino tramite la realtà virtuale. Rimaniamo tutti d’accordo con quanto dichiarò una volta lo stesso Christo: «Il mondo reale è il mondo reale. L’opera non è una fotografia, un film o un’immagine: è il mondo reale».
Allo stesso tempo, se volessimo reinventare il suo stile di spettacolo unificante e collettivo, si potrebbe pensare di illuminare l’Arco di Trionfo con proiezioni ad alta visibilità - un po’ come quelle che gli attivisti di Black Lives Matter negli Stati Uniti hanno usato in segno di protesta sopra una statua del generale confederato Robert E. Lee - o anche di realizzare immagini 3D ad alta complessità, riprodotte tramite droni o ologrammi di ultima generazione. Come diceva l’artista: «È davvero noioso fare qualcosa quando già sappiamo come farla». Le tecnologie possono aiutarci a mettere in pratica alterazioni temporanee dell’ambiente urbano secondo strade del tutto inedite.
Le stesse tecnologie possono inoltre, in un mondo sempre più connesso, insegnarci a vedere ciò che ci circonda attraverso una doverosa pluralità di punti di vista. I cittadini dovrebbero essere coinvolti da vicino nei processi di trasformazione e nei progetti che consentono di mettere le nostre città sotto una nuova luce. Ancora una volta, questo non era sicuramente facile all’inizio della carriera di Christo e Jeanne-Claude: ma lo è oggi, grazie alle diffusissime reti di comunicazione.
Liberata dai limiti del passato, l’arte può diventare uno dei nostri più grandi strumenti nella lotta per un futuro più sostenibile, secondo obiettivi di ordine tanto sociale quanto ambientale. Se Parigi oggi decidesse di spacchettare l’Arco di Trionfo, avrebbe l’opportunità di mostrare al mondo cosa vuol dire passare dall’arte ambientale al vero ambientalismo.
(Carlo Ratti, architetto e ingegnere, dirige il Senseable City Lab al Mit
di Boston ed è socio fondatore dello studio CRA , Torino e New York)