Corriere della Sera, 13 settembre 2021
Intervista al designer Walter De Silva
«Se non fossi diventato car designer, avrei realizzato scarpe», diceva Walter De Silva quando ancora era capo dello stile del gruppo Volkswagen. Così, non stupì neppure troppo la sua decisione di cambiare vita e fondare, nel 2015, la Walter De Silva Shoes. Oggi, però, lo ritroviamo nella sua veste più nota: è firmata da lui la nuova hypercar S9, capostipite di Silk-Faw. «Quando ho lasciato Volkswagen non avevo più voglia – confida – ma poi è arrivata la telefonata di due amici, Dialma Zinelli di Dallara e Peter Tutzer, ex direttore tecnico di Bugatti: “Dai Walter, ricostituiamo un team: tecnica, aerodinamica, design”. Alla fine ho accettato, perché ritenevo che ci fosse la possibilità di tornare a disegnare auto senza dettami del marketing, ma andando alla ricerca dell’essenza della bellezza».
Cosa intende?
«Viviamo in un periodo in cui tutti rincorrono linguaggi estetici molto aggressivi, arroganti. Invece credo che l’innovazione vada ricercata nei classici, nella cultura e nella storia dell’automobile. Il cambiamento climatico ci porterà a un nuovo design che, però, non deve tradire quello che abbiamo costruito finora. Tutto quello che è decorazione, pian piano scomparirà e nelle automobili rimarrà l’essenziale».
L’S9 è così?
«Mi ricorda un aliante: l’aliante o è fatto in quel modo lì o non va; l’S9 o è fatta così o non va. Nessuna alchimia stilistica: è la forma che è uscita dialogando giorno per giorno con gli ingegneri dell’aerodinamica e della tecnica».
Anni fa disse che l’Audi A5 era la più bella auto da lei disegnata: è ancora così?
«Audi A5, Alfa Romeo 156, Volkswagen Polo sono, secondo me, i migliori progetti, anche per la loro storia ed evoluzione. Perché l’automobile non è fatta solo di linee, è fatta di uomini, progetti, mal di pancia e soddisfazioni».
Nel 2035 tutto cambia con lo stop a benzina e diesel. Come vede il futuro?
«Intanto analogico e digitale dovranno trovare un loro equilibrio. Vedo un forte lavoro di innovazione sulla componentistica delle automobili: se andiamo verso una miniaturizzazione dei componenti, avremo maggiore libertà per disegnare sia gli spazi interni sia l’involucro esterno. Il designer avrà un grande ruolo, sicuramente, così come i nuovi brand, se sapranno imporsi con nuove proposte non solo di prodotto, ma anche di servizio. Spero, che non vuole dire vedo, che l’aggressività diminuisca e che lasci il posto a un design più consapevole, più colto, più libero».
Disegna ancora scarpe?
«Sì, e la cosa più bella è che le faccio per mia moglie Emmanuelle. Ho sempre avuto questo desiderio e, senza di lei, non ci sarei mai riuscito. Non lo sa nessuno: sto scrivendo un libro su questa storia d’amore che ci ha portato a fare delle scarpe da gran serata».
Emmanuelle è il suo motore?
«Ha un’enorme forza di volontà, le piace scommettere e dice sempre quello che pensa. Io cambio il proverbio: di fianco a una grande donna basta un piccolo uomo».
Ci sono altri mondi che vuole esplorare?
«È stata messa in commercio, ma non in Italia, la pasta Barilla che ho disegnato io: i Papiri. C’è voluto ben un anno di sviluppo: è importante affrontare tutto sempre con la stessa professionalità, che sia una sedia, una macchina fotografica, un’automobile o che sia una piccola pasta. Mi piacciono le nuove sfide: mi tengono molto in forma. Quello che, invece, mi infastidisce è che siamo in un periodo in cui si sta urlando troppo. Speriamo di tornare più all’essenza delle cose, all’essenza della bellezza, perché la bellezza sarebbe una grande medicina per curarci tutti».