il Giornale, 13 settembre 2021
Louis Armstrong, una spia per caso
Basta rovistare negli archivi della Cia e si scopre che Louis Armstrong venne usato, a sua insaputa, come spia nel continente africano, con l’obiettivo di rendere più facili e immediate le notizie e le relazioni con i governanti, quelli del Katanga in particolare. Un racconto che è dettagliato e riportato da Susan Williams nel libro, uscito nello scorso agosto, sotto il titolo White Malice. Satchmo era stato incaricato dal Dipartimento di Stato di lucidare l’immagine degli Stati Uniti nei Paesi che avevano conquistato l’indipendenza dal colonialismo e dunque il jazz, di grandissima moda in quel tempo, siamo a cavallo tra il Cinquanta e il Sessanta, rappresentava un passaporto per riunire la gente di colore sotto la bandiera del più illustre artista. Armstrong aveva 58 anni e la sua fame era mondiale, avrebbe raccolto un album di 20 pezzi sotto il titolo The real Ambassadors, proprio sul tema dei diritti civili, calpestati in Africa e non solo, lo stesso trombettista aveva abbandonato un tour in Unione Sovietica come manifestazione di protesta nei confronti di alcuni episodi di razzismo negli Usa.
La Williams scrive che l’artista, accompagnato da Lucilla Wilson, sua quarta moglie, e da un rappresentante dell’ambasciata americana, aveva creduto di essere invitato a cena, a Leopoldville, al tempo la capitale del Congo, da un delegato del governo e invece si ritrovò al tavolo Larry Devlin, capo della Cia in Congo. Devlin avviò un’amicizia con il chiaro intento di usare Armstrong come «cavallo di Troia», per poi raccogliere dati e sussurri su quelli che erano i movimenti dei dirigenti del governo congolese.
Siamo nell’inverno del millenovecentosessanta e la Cia aveva interesse a entrare in possesso di ogni notizia sul Katanga, la ricca provincia, carica di giacimenti minerari, con oltre mille e cinquecento tonnellate di uranio. Armstrong è partito per una serie di esibizioni a Lumumbashi (Elisabethville), la capitale. Devlin e altri funzionari della Central Intelligence Agency, si accodarono, spacciandosi per grandi amanti del jazz, il trombettista avrebbe raccolto applausi e un popolo pronto a «parlare». In realtà la missione degli americani era criminale, il libro della Williams e gli archivi della Cia lo confermano: il bersaglio era Lumumba, il presidente del Congo, eletto democraticamente ma il cui programma politico internazionale non era ancora chiaro per il governo americano. Si temeva, infatti, che il trentacinquenne Patrice Lumumba trascinasse il Paese sotto l’influenza sovietica, era il tempo della guerra fredda e non dei compromessi diplomatici. Armstrong era del tutto ignaro che lo stesso Lumumba fosse stato sequestrato e quindi tenuto in prigione dai soldati di Mobutu che era il capo militare del paese africano, assai vicino, se non complice e collaborazionista dell’operato della Cia.
«Satchmo» suonò e cantò le sue creazioni, la folla lo applaudiva non immaginando che, due mesi dopo, Patrice Lumumba sarebbe stato ucciso da alcuni funzionari del governo e da altri «inviati» dal Belgio. Il lavoro sporco e omicida di Devlin, che in seguito ammise il piano e le responsabilità, era stato eseguito, nella vergogna mondiale ma con Mobutu perfettamente allineato agli Stati Uniti.
Il libro della Williams porta testimonianze di un progetto da film horror, con i tentativi di assassinare Lumumba, infiltrando varie figure all’interno del territorio, anche sindacalisti e funzionari delle varie compagnie aeree, già a partire dalla sua creazione nel 47, uno scenario da 007 ma con risvolti efferati, poi abortiti prima che venisse l’idea di sfruttare Armstrong il quale, ha sempre smentito di fare parte di qualunque progetto criminale: «Anche se rappresento il governo, non tutte le politiche del governo mi rappresentano»o, sta scritto in una pagina di White Malice. «Satchmo» non fu il primo e neanche l’ultimo «cavallo di Troia», Hollywood ha fornito molto materiale, in cambio di droga e ruoli nelle produzioni più importanti. La storia continua, non solo in Africa.