il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2021
Intervista a Eva Cantarella (che non vuol più sentir parlare di quote rosa)
“Siamo nella condizione di dire basta alle quote rosa, a questa formula che invece di liberare le donne statuisce, oltre ogni intenzione, una condizione di statica indispensabilità. Essere indispensabili per forza di legge è la negazione della forza e del potere della condizione femminile oggi in Italia”.
Eva Cantarella è la donna che ha studiato e illustrato meglio di tutti la storia anche drammatica delle donne, il cammino verso l’emancipazione, le lotte e le conquiste femminili.
Professoressa, lei vorrebbe le quote rosa al macero. Grideranno allo scandalo.
Sono divenute, per paradosso, una minorazione delle capacità femminili. Siamo così forti che non abbiamo bisogno di tutor e magari pure maschi.
Esiste questa punta di ossessione verso l’esatta parità aritmetica tra l’uomo e la donna.
Un fenomeno soprattutto mediatico, con fiumi d’inchiostro a commentare ogni temuta discriminazione.
Le diranno che nega la storia recente.
Chi le parla ha vinto il concorso da professore ordinario al tempo in cui l’università era un coperchio totalmente maschile. Figurarsi se non conosco quale e quanta discriminazione abbia patito la donna. Ma conosco la nostra forza, conosco le conquiste ottenute. Io voto una donna se è più brava di un uomo, voto due donne se ambedue sono brave così come scelgo un maschio se ritengo che sappia difendere meglio di altri i miei diritti.
Il volto femminile colora quotidianamente la cronaca nera. E qui le donne sono ancora vittime indifese.
Voglio augurarmi che sia la coda finale del patriarcato morente. La forza dell’identità femminile è tale che all’uomo non resta, per affermare il proprio potere, che ricorrere a quella biologica. Con la sua forza fisica intende regolare i conti.
La guerra è raccontata dal volto delle donne. La tragedia dell’Afghanistan è segnata quasi esclusivamente dall’imposizione del burqa.
Converrà che è una violenza orribile.
Non è in discussione la natura violenta di questa imposizione e la retrocessione della donna a oggetto, quanto il sospetto che la tragedia femminile afgana ci sollevi dalla domanda: perché il regime talebano è ancora vincente, e l’Occidente laggiù chi ha aiutato, chi ha arricchito, chi magari ha ucciso?
C’è, ed è vero, una ipocrisia di fondo. Il burqa, segno della retrocessione femminile, come utile paratia per covare lo sdegno senza avanzare autocritica, senza indagare sui nostri errori. Biden se l’è cavata dicendo che gli Usa hanno smesso di esportare la democrazia. Ma la faccenda è più complessa. Molto tempo prima degli Usa sono stati i Sumeri a esportare la democrazia. Questo per la precisione.
La storia insegna ma ha cattivi scolari, diceva Gramsci.
Alle donne la storia di discriminazione ha insegnato tanto e ha contribuito a sostenere le lotte di liberazione. In sessant’anni abbiamo conquistato più di quel che si è visto nei duemilacinquecento anni precedenti. Questo è un fatto.
Lei ha scritto un libro sulla emancipazione femminile attraverso lo sport. Le scorse Olimpiadi si sono colorate di rosa.
E sarà una meravigliosa turbina che darà ancora più forza al motore femminile. Perciò dico che non abbiamo bisogno di forme di solidarietà pelose, e nemmeno del circuito scandalistico (al quale anche noi partecipiamo) di maniera, che a volte pare densamente intriso di ipocrisia.
Professoressa, facciamo conto che lei sia grande elettrice e debba scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Uomo o donna?
Io sceglierei il più bravo.
Se potesse proporre un nome?
Se potesse rivivere Zenobia di Palmira senza alcun dubbio voterei lei.
Zenobia.
Sotto l’imperatore Aureliano, quando Roma amplia i suoi confini fino all’odierna Siria, Zenobia si fa nominare regina di Palmira. Sotto il suo comando la città rinasce e si espande. Aureliano ritiene che Zenobia sia una semplice portatrice d’acqua ma, quando s’accorge che la regina batte moneta, cambia idea.
Quindi Zenobia presidente.
Assolutamente sì.