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 2021  settembre 12 Domenica calendario

Intervista a Floris (che torna con DiMartedì)

Roma L’11 settembre in Italia arrivò raccontato dalla voce di Giovanni Floris. Da cinque anni in Rai, in forza al Giornale Radio con reportage internazionali di economia. Era nella sede di New York a sostituire il corrispondente in ferie quando la storia e le certezze cominciarono a bruciare, assieme alle Torri Gemelle.
Sono passati venti anni. Cosa ricorda dei momenti in cui tutto iniziò?
«Il fumo. Nero. Si alzava dalle Torri. Abitavo lì vicino. Dalla finestra lo potevo vedere. Feci subito una diretta al telefono e corsi in taxi in redazione. Ricordo la fiumana di gente che scappava. Le file ai telefoni pubblici, ordinatissime, di chi cercava di contattare familiari. L’incredulità. Il panico».
Anche il suo?
«Beh, girava voce di altri aerei che sarebbero caduti. Mia moglie era rimasta bloccata lì nella zona sud. E io che per la prima volta mi trovavo a coprire un evento storico (il secondo, a pensarci bene, sarebbe stato il Covid), lavoravo ininterrottamente, dormendo anche in redazione. Ma capii che l’unica scelta possibile era lasciarsi guidare dalla razionalità. Una lezione che mi è servita».
Venti anni dopo con il suo programma «diMartedí» su La7 torna a parlare di quei giorni. Cosa ha visto cambiare da allora?
«Avevamo tre certezze: la sicurezza, il benessere economico e la libertà. Con gli attentati, anche quelli successivi in Europa, abbiamo perso la sicurezza. Con la crisi del 2008 cominciammo a comprendere che non era garantito nemmeno il benessere economico».
C’è rimasta la libertà...
«Sì, ma rischiamo di malintendere il concetto. È una libertà segnata dalla paura».
Che intende?
«All’inizio si reagì pensando che la libertà fosse talmente nostra che la potevamo addirittura esportare. Adesso ciascuno ha la propria interpretazione personale di libertà. Una libertà rabbiosa, proprietà privata di ognuno di noi. Una libertà che ognuno vuole imporre, anche a costo di limitare quella degli altri».
Cosa glielo fa pensare?
«Penso all’America di Trump, all’Europa dei nazionalismi, all’Italia dei no difensivi, antagonisti. Lo vediamo in questi giorni con le discussioni sul green pass».
Il dibattito
In Parlamento preferiamo mandare chi ha le nostre paure, non chi prova a risolverle
Il green pass?
«Ci si difende dalla scienza. La libertà mia viene vista cone alternativa a quella degli altri. I medici diventano il nemico pure se vogliono curarci. Chi la pensa diversamente entra subito nella categoria del nemico. Si ritiene che solo chiudendoci in noi stessi riusciremo a sopravvivere. Una chiusura che deriva dalla paura».
Quanto ha influito in questo l’informazione?
«Non credo che siano stati i media a ingenerare la paura. Né credo che siano i politici, che pure la cavalcano».
Allora chi?
«Il problema siamo noi cittadini. La paura è naturale, se perdi sicurezza per un attacco criminale come l’11 settembre o la salute e la vita come con il Covid. Ed è utile perché ti spinge a reagire. Il punto è come reagiamo?»
Come?
«Il timore è che stiamo scegliendo la soluzione sbagliata. Preferiamo mandare in Parlamento chi ha le nostre stesse paure invece di chi promette di provare a risolverle. Non cerchiamo rappresentanza ma empatia».
Sul Covid si era partiti dall’allarme per le carenze della medicina del territorio e si è finiti allo scontro tra virologi e no vax. Lei cosa farà?
«Io credo che nel caos si debba trovare la lucidità di non farsi trascinare. La nostra linea editoriale quest’anno sarà proprio questa».
Ovvero?
«Seguire il confronto tra i due schieramenti, trasversali alle fazioni politiche: chi vuole consegnare il Paese nelle mani della paura e chi vuole uscirne. E in quanto giornalista cercherò sempre, nel caos, di fare appello alla razionalità. La lezione che imparai quell’11 settembre».