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 2021  settembre 12 Domenica calendario

I vampiri di Ivanof


Segnatevelo questo nome: Aleksej Ivanov. Scrittore russo, classe 1969, vive in una località misteriosa degli Urali che non vuole rivelare, non si capisce bene perché. Non c’entra pare la censura o la paura di essere controllato, perché «in Russia la letteratura non se la fila nessuno». Lui però è diventato una star – questo non lo dice, ma lo scopriamo grazie alla traduttrice e curatrice in italiano del suo romanzo, Anna Zafesova – soprattutto dopo che un suo libro, in Italia ancora non tradotto, è stato trasformato in una serie tv di successo, la più seguita dell’ultimo anno. Ivanov non era mai venuto in Italia prima di adesso e siccome all’università si è laureato in storia dell’arte non nasconde l’eccitazione di viaggiare nel nostro Paese.
In questi giorni al Festivaletteratura di Mantova Ivanov andava a zonzo per la città insieme a Iulia Zaitseva, che ci presenta come «produttrice, manager nonché co-autrice con lui di alcuni saggi». Lei, una creatura venusiana con i capelli cortissimi e biondissimi e degli occhialoni da sole neri che la fanno assomigliare a una meravigliosa mosca tecnologica, segue in silenzio l’intervista e alla fine finalmente sorride. Deve essere contenta di come è andata. Parliamo seduti in un ristorante di Piazza Sordello, subito dopo l’incontro che Ivanov ha tenuto nell’aula magna dell’università. Ivanov, intervistato da Gian Piero Piretto e da Zafesova, era lì per raccontare I cinocefali (Voland), romanzo geniale e strampalato, al momento l’unico suo lavoro edito in Italia. Sono però in programma altre traduzioni. In breve il plot: tre giovani moscoviti vanno in missione in un villaggio sul Volga per recuperare un affresco di San Cristoforo in una chiesa rurale. Il santo in quel dipinto ha la testa di un cane. Il viaggio diventa un thriller, anzi un horror popolato di mostri, ambientato nella Russia di Putin degli ultimi anni, dove accadono cose insensate e alquanto folli e scorre molto alcol.
Si è presentato al pubblico come intellettuale borghese, è una maniera per differenziarsi dagli scrittori del passato?
«Tradizionalmente lo scrittore russo faceva parte dell’intellighenzia.
Veniva definito con un acronimo che sta per “grande scrittore della terra russa”, in italiano “gstr” (ride, ndr ).
Non mi sento di appartenere a quella schiera».
Come si colloca?
«Ho voluto distanziarmi da quegli scrittori che non hanno fatto altro che parlare della sofferenza e della grandezza del popolo russo. Gli autori alla Solgenitsyn per capirci. Da parte mia quando ho visto che stava riemergendo l’ideologia sovietica, ho preferito riempire i miei libri di vampiri».
Che cosa c’entrano i vampiri?
«L’ideologia sovietica è intrisa di sangue. La nostra bandiera è rossa, come il sangue, e Lenin stesso è eternamente vivo perché eternamente morto. Nel romanzo Il blocco delle cucine racconto di un campo di scout comunisti infestato di vampiri. Siamo negli anni Ottanta, nella tarda Unione Sovietica. I vampiri vogliono comandare ma trattandosi di morti viventi sovietici per prendere il potere sono costretti a fingersi comunisti e interpretare il ruolo di pionieri modello».
La caratteristica comune dei suoi libri è questo aspetto da B movie horror?
«La Russia è horror, non è difficile restituirla in questo modo. Guardi Mosca, la città del potere, dove si concentrano affari e investimenti. È una metropoli vampira che succhia ricchezze e energie al resto del Paese. In un altro mio libro, intitolato Community, la racconto infatti come una città appestata».
Nei “Cinocefali” lo scenario è pulp. Voleva ribaltare, come è emerso nel corso dell’incontro, lo stereotipo del mondo contadino russo incontaminato?
«( Sorride ) L’idillio della campagna incantata che si oppone alla città non esiste più. Appartiene al passato, a Tolstoj, ai tempi in cui gli intellettuali pensavano di educare i contadini analfabeti e in quell’opera di avvicinamento al popolo rintracciavano la loro missione. Poi l’Unione Sovietica ha distrutto quelle zone rurali lasciandole in uno stato di abbandono».
Come spiega questo lento
sprofondamento nel degrado delle periferie?
«Ha vinto la civiltà dei consumi. I sovietici sono entrati nel modello occidentale come spettatori che fuggono da un cinema in cui è proiettato un film noiosissimo illudendosi di godersi un film d’azione».
Quali sono i suoi modelli letterari?
«Più che alla letteratura guardo alle serie televisive, che considero l’equivalente del romanzo del XXI secolo. La nostra è una cultura iconocentrica».
Alcune scene vagamente splatter del romanzo fanno pensare ai film di Tarantino.
«In realtà l’operazione è diversa. Tarantino è un postmoderno, riprende modelli passati, li mescola e così facendo li fa saltare, li distrugge.
Io invece non lo disintegro affatto.
Definirei il mio approccio “metamodernista”. Prendo generi considerati bassi e li riempio di un nuovo contenuto».
Faccia qualche esempio così capiamo meglio.
«Due serie che adoro: Stranger Things e La casa di carta».
L’horror è un modo per evitare una critica sociale frontale e non incorrere nella censura?
«A chi vuole che importi degli scrittori nella Russia di oggi? Ad essere controllati sono semmai i giornalisti o i film che possono arrivare a un pubblico più ampio».
La pandemia sta creando in Russia confusione ulteriore?
«I dati diffusi su contagiati e morti sono falsi. Una totale menzogna. Le regole di sicurezza sanitaria ci sono ma i russi naturalmente non le rispettano».