la Repubblica, 12 settembre 2021
Quatto settimane per avere la meglio sul covid
L’ Italia ha quattro settimane e mezza per raggiungere il 90 per cento di vaccinati: se fallirà le varianti del Covid-19 potranno giovarsi del clima rigido d’autunno, frenare la ripresa e mettere a rischio i risultati finora ottenuti dalla campagna anti-virus richiesta dal Capo dello Stato Mattarella, coordinata dal capo del governo Draghi e affidata al generale Figliuolo.
Con l’estate oramai alle spalle, lo stato dell’offensiva in Italia contro il Covid-19 – responsabile di 130 mila morti ed i maggiori danni economici dalla fine della Seconda Guerra Mondiale – è descritto dai numeri: i cittadini vaccinati sono l’80 per cento e per evitare l’effetto varianti bisogna arrivare al 90 per cento entro il 15 ottobre, quando i cambiamenti climatici porteranno all’aumento della circolazione delle varianti. Si tratta dunque di aggredire lo zoccolo duro dei No Vax, Ni Vax e Boh Vax che, non vaccinandosi, mette a rischio non solo la salute collettiva ma anche la ripresa economica.
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È questo stesso motivo che ha spinto il presidente americano, Joe Biden, ad adottare provvedimenti che obbligano alla vaccinazione almeno 100 milioni di lavoratori americani, rivolgendosi con toni e termini senza precedenti ai No Vax perché le loro azioni «ci mettono in pericolo». Per avere un’idea della gravità della situazione che ha spinto Biden ad agire bisogna leggere i risultati della più recente ricerca dei Veterans Affairs Medical Centers: i non vaccinati hanno 4,6 possibilità in più di essere infettati, 10 possibilità in più di essere ricoverati e 11 possibilità in più di morire rispetto a chi ha fatto il vaccino. Questi dati sono confermati nel nostro Paese dal Comitato tecnico scientifico (Cts). Come dire: rifiutare l’inoculazione significa mettere a rischio anzitutto la propria vita. E poiché questo zoccolo duro permane c’è un rischio collettivo sul doppio fronte: salute ed economia.
L’andamento di Wall Street nell’ultima settimana è stato a tale riguardo un campanello d’allarme: il ribasso di 1,7 punti dell’indice Dow Jones è il più serio da giugno, rivela il timore che il virus non sia ancora sconfitto e dunque che la ripresa sia a rischio, con conseguenze potenzialmente molto serie. Per reagire in fretta la Casa Bianca ha concentrato l’obbligo di vaccino sul mondo del lavoro prevedendolo per ogni azienda con oltre 100 dipendenti – e il governo Draghi sta operando nella stessa direzione.
Nel consiglio dei ministri previsto a fine settimana, secondo informazioni confermate da più fonti, all’ordine del giorno vi sarà l’obbligo Green Pass per chi lavora nel pubblico come nel privato. Ed anche per chi accede ai servizi, pubblici e privati. Ciò significa un’estensione del Green Pass in chiave universale, e tempi immediati, per spingere il numero più alto possibile di No Vax, Ni Vax e Boh Vax a vaccinarsi prima che il freddo possa accelerare la circolazione del virus, consentendo magari a nuove varianti di “bucare” la protezione del vaccino.
L’intento dell’estensione del Green Pass è aumentare i costi dei comportamenti opportunistici rispetto ai vaccini ed anche, sul fronte economico, di portare ad un ritorno massiccio del lavoro in presenza favorendo la ripresa. Se quest’accelerazione del governo Draghi dovesse non aver successo – ovvero fallire l’obiettivo del 90 per cento entro i suddetti tempi – non vi sarebbe alternativa possibile a decretare l’obbligo del vaccino per tutti i cittadini della Repubblica. La ragione di questa scelta è che la libertà propria non può essere usata per nuocere a quella altrui: se oggi siamo obbligati a indossare le cinture di sicurezza quando guidiamo o a fare alcune vaccinazioni per andare alla scuola pubblica è perché si tratta di comportamenti dei singoli necessari alla protezione della collettività. È la stessa motivazione che il giudice John Marshall Harlan, oltre un secolo fa, incluse nella sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che multò un cittadino del Massachusetts per aver rifiutato la vaccinazione contro il vaiolo: “La libertà di tutti non può esistere in base al principio che ogni individuo ha il diritto ad usare la propria – scrisse – senza curarsi del danno che può procurare ad altri”.
Ma non è tutto, perché la sconfitta del virus che viene da Wuhan richiede anche la terza vaccinazione per chi già ne ha fatte due. Il motivo, appurato da recenti studi redatti negli Stati Uniti e in Israele, è che passati sei mesi dalla seconda dose la protezione tende a diminuire. I dati pubblicati dal Maccabi Healthcare Services di Tel Aviv attestano, in particolare, che il tasso di infezione per i già vaccinati scende fra il 70 ed l’84 per cento entro 20 giorni dall’inoculazione della terza dose di Pfizer BioNTech. Questo spiega perché il 70 per cento degli israeliani over-60 ed il 50 per cento degli over-50 hanno già fatto la terza dose, che a ben vedere è qualcosa di assai conosciuto: equivale al richiamo annuale dei vaccini anti-influenzali che milioni di italiani sono abituati a fare sin da quando erano giovani.