Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 12 Domenica calendario

Dante fu punto da una zanzara perché aveva paura di un viaggio in mare


Il viaggio per mare si presentava rischioso. E troppo lungo. Scelse così la via di terra. Venezia l’avrebbe raggiunta in tre giorni risalendo le lagune di Comacchio.
Nel momento in cui partì per la sua missione Dante non poteva sapere che a due passi da lui, sulla superficie delle acque salmastre che stava costeggiando, alcune zanzare anofele erano impegnate a deporre le uova. Dopo tre giorni, mentre il sommo poeta era probabilmente intento a interloquire, insieme agli altri ambasciatori ravennati, con i rappresentanti veneziani, quelle si schiusero, facendo uscire larve lunghe non più di qualche millimetro. Timide ma voracissime. Una di queste, al suo ritorno, lo avrebbe ucciso.
A imporre l’incarico fatale erano state la storia e la geografia. Tra Comacchio e la foce del Reno, durante le inondazioni dei periodi piovosi, il peso dei sedimenti aveva provocato l’abbassamento del terreno. Quel suolo si era riempito di un mare improprio impedendo all’uomo di poterci vivere ma offrendogli in cambio il bene più prezioso: il sale. Pur di accaparrarsene il monopolio, veneziani e ravennati si erano guardati per secoli in cagnesco ma dopo l’ennesimo affronto il doge della città lagunare, Giovanni Soranzo, aveva deciso che era giunto il momento di sbarazzarsi definitivamente dell’eterna rivale. Ravenna in quel momento era retta da Guido Novello da Polenta, uomo generoso e poeta stilnovista, figlio di un fratello di Francesca, quella «da Rimini» che per l’amore di Paolo era stata trafitta da Gianciotto. Presso di lui Dante aveva appena trovato la quiete.
Deciso a vincere la guerra del sale, il 17 agosto 1321 il doge Soranzo aveva chiesto alleanza a Forlì. La città era retta da Cecco Ordelaffi, precedente protettore di Dante. Così, in quel dramma, Guido Novello aveva proposto una parte al poeta. E Dante aveva dovuto accettarla. L’ambasceria non risolse la situazione ma calmò le acque e Ravenna fu salva.
Ripreso il cammino, Dante percorse le sue ultime otto ore di marcia lungo la lingua di terra che separava il mare Adriatico dalle lagune di Comacchio. E proprio al crepuscolo la zanzara infetta, ormai adulta, emerse dall’acqua e si posò su di lui. L’anofele perforò la sua pelle, raggiunse un piccolo capillare, immise la saliva anticoagulante e, inconsapevole di un tale privilegio, succhiò il sangue di Dante Alighieri. Poi volò via.
Il parassita inoculato, invece, penetrò in un globulo rosso e iniziò così la sua esistenza di piccola ameba. Visse anche lui, come il poeta, una sua personale epica. Crescendo assorbì la sostanza colorante del globulo rosso convertendola in un pigmento nero. Il parassita oscuro si divise poi in corpi figliastri e questi, rotto l’involucro, si trovarono nel plasma, liberi di invadere le altre cellule. L’organismo di Dante si affidò allora ai suoi globuli bianchi. Per una fatalità, dunque, dentro quel corpo si ricreò lo scontro tra bianchi e neri. E anche stavolta i secondi ebbero la meglio sui primi.
Di tutto questo, sul momento, Dante non si accorse. Sei giorni dopo, però, la libera circolazione nel sangue del pigmento malarico generò l’aumento della sua temperatura. La febbre scatenò una violenta sudorazione accompagnata da brividi improvvisi. Seguirono i dolori ai reni, poi alla milza e infine al fegato, che iniziò a ingrossarsi. Le giunzioni tra le cellule si allentarono determinando inesorabilmente la rottura della barriera ematoencefalica. I fluidi del sistema nervoso del cervello a quel punto si mescolarono con il flusso sanguigno provocandogli una congestione cerebrale. Così, dopo essere stato superbamente in funzione per cinquantasei anni, il meraviglioso cervello di Dante si spense. Avvenne nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. —