La Stampa, 12 settembre 2021
La gara tra i partiti
Da settimane, per non dire da mesi, i sondaggi registrano una quasi parità tra i tre principali partiti (Lega, Pd e Fratelli d’Italia), seguiti a ruota dal Movimento 5 stelle, e da una galassia di partitini che galleggiano sulla loro scia, a partire da quello, in ascesa (dal 2 al 3 per cento) di Calenda e da quello, in discesa (dal 3 al 2) di Renzi. I sondaggisti confermano di volta in volta che il centrodestra, malgrado le continue risse interne, ha in mano le chiavi della vittoria, e il centrosinistra, solo se riuscirà a consolidare l’alleanza con i 5 stelle, potrà considerarsi competitivo. Aggiungono che le rilevazioni si sono fatte via via più complicate in assenza di chiarezza sul sistema elettorale con cui si andrà a votare, di una data certa per le urne, e dell’incognita rappresentata dalla prima elezione di un Parlamento ridotto a due terzi di quello che sta andando in scadenza. Infine non accenna a calare l’alta percentuale degli indecisi – quasi il quaranta per cento – che non sanno chi votare.La popolarità del governo e di Draghi restano alte, così come quella di Conte, che è riuscito a far passare in una parte dell’opinione pubblica l’idea che la sua estromissione da Palazzo Chigi sia stata frutto di una specie di complotto. Un notevole tasso di incertezza domina ancora gran parte dei cittadini, preoccupati più per il Covid che non per gli sviluppi della politica. Insomma non è affatto irrazionale la stagnazione che domina i sondaggi e preoccupa gli studiosi dei dati, che necessitano di variazioni da spiegare e sulla base delle quali fornire consigli. Vuol dire essenzialmente due cose. Prima: la gente ha ormai capito che più che a una nuova competizione tra due schieramenti, come nei 25 anni della Seconda Repubblica, si sta tornando a una gara tra partiti. Partiti più leggeri, meno organizzati e dotati di programmi di quelli della Prima Repubblica, capaci di far sventolare ogni giorno una bandiera diversa pur di catturare l’attenzione degli elettori, ma non di tener fede alle promesse. Seconda: c’è più gratitudine, che non sfiducia, verso i governi che hanno gestito la pandemia con le sue tragiche conseguenze. Ma anche timore di quel che potrebbe accadere, con la fine dell’emergenza e l’inizio di una nuova stagione di doveri. —