La Stampa, 12 settembre 2021
Il punto sulle cure per il Covid
Sono accatastati negli scaffali delle farmacie già da anni e costano quasi sempre meno di 10 euro, ma ora potrebbero tornare sotto i riflettori in veste di paladini della lotta al Covid. Sono i magnifici 9 vecchi farmaci, approvati dall’Fda americana dal lontano 1971 in poi, passati ora al setaccio dai ricercatori dell’Università di Manchester e che in laboratorio si sono mostrati capaci di bloccare la replicazione del SarsCov2 nelle cellule umane. Dati ancora parziali ma solidi, tanto da essere pubblicati nella rivista scientifica Plos Pathogens, la stessa scelta dal nostro prestigioso Iss per pubblicare un suo studio, quello sul ruolo che l’interferone sembra svolgere nel prevenire la malattia da Covid.Contro il virus si rispolverano i vecchi farmaci ma se ne continuano a ricercare di nuovi, perché come ha di nuovo ribadito il direttore della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, i vaccini vanno bene per ridurre al minimo i danni, ma l’immunità di gregge con questo virus è una chimera. Per cui la guerra si vincerà solo con una cura capace di bloccarlo quando entra nel nostro organismo, superando i limiti dei pur efficaci monoclonali. Che prima di tutto costano tanto, tra mille e duemila euro. E poi per funzionare devono essere somministrati per via endovenosa quando i sintomi ci sono già ma prima che la malattia assuma forme gravi.I primi test in laboratorioNon hanno certo un problema di prezzo i vecchi medicinali esaminati dai ricercatori di Manchester, che alla fine ne hanno selezionati nove, che almeno in laboratorio hanno dimostrato di saper mettere la museruola al virus. Per farlo hanno utilizzato una versione del SarsCov2 «etichettato» con un enzima luminescente per quantificare la carica virale delle cellule umane infettate, che sono poi state messe in contatto con i farmaci old style, 9 dei quali hanno bloccato la replicazione del virus. Tra questi ci sono due antimalarici: l’amodiachina, che in Marocco si vende a meno di un euro e l’atovaquone, che di euro ne costa invece 48. L’esame lo ha superato anche la bedaquilina, un anti micobatterico utilizzato soprattutto contro le forme più ostiche delle tubercolosi, che la Johnson&Johnson, proprietaria di uno dei vaccini contro il Covid, ha deciso lo scorso anno di vendere a solo un euro e mezzo la pillola. Costa poco, 7 euro, anche l’ebastina, vecchio antistaminico fino ad oggi indicato nel trattamento sintomatico di forme allergiche, come rinite e congiuntivite allergica. Promettono bene anche l’antipertensivo manidipina, il panobinostat per il trattamento del mieloma multiplo, l’impronunciabile methanesulfonate e l’abemaciclib, due medicinali usati nel trattamento di alcune forme di cancro. A chiudere la lista la comune vitamina D, indicata per chi ne ha poca nel proprio organismo e che in questi casi potrebbe non sconfiggere ma ridurre l’impatto del Covid nell’organismo.«Gli alti costi e i lunghi tempi di approvazione associati allo sviluppo di nuovi farmaci rendono la riproposta di quelli esistenti per il trattamento di malattie comuni o rare un’idea sempre più attraente», scrivono gli autori dello studio. Le idee promettono bene. Ma per passare ai fatti occorreranno ora studi più approfonditi. Quindi nessuno creda di aver trovato l’alternativa ai vaccini. Se le speranze sono ben riposte si vedrà presto. Per ora l’avvertenza è: evitare inutili corse in farmacia.Lo sguardo al futuroLa ricerca guarda al passato ma punta ovviamente anche al futuro. Di nuovi e sempre più efficaci monoclonali ne stanno arrivando altri, ma all’orizzonte ci sono anche altre nuove molecole. La Commissione europea ha promesso che entro ottobre metterà a punto un portafoglio di almeno 10 potenziali nuove terapie. Quattro sono anticorpi monoclonali attualmente in revisione in tempo reale da parte dell’Ema, un altro è un immunosoppressore, tutti sotto esame avanzato dell’Ema. Tra quelli in sperimentazione a promettere meglio degli altri è però il molnupiravir, che testato sull’uomo con un dosaggio di due pillole al giorno per cinque giorni ha mostrato di poter eliminare il virus dal tratto rinofaringeo dove più si annida.Da Israele a far sperare è invece una molecole in codice, CD24, una glicoproteina espressa dal nostro sistema immunitario, il cui ruolo fisiologico consiste nel ridurre la risposta infiammatoria. La sua attività è ridotta in stati infiammatori gravi come ad esempio le sepsi. Da qui l’idea di impiegarla per prevenire o curare il quadro più grave di Covid 19, la cosiddetta «tempesta citochinica», che altro non è se non una condizione di iperattivazione incontrollata del sistema immunitario deleteria per l’organismo.A oggi sono stati condotti studi iniziali, di fase I e fase II, il primo su 30 persone e il secondo su 90, tutte con Covid. I benefici clinici sono tuttavia stati notevolissimi se è vero che prima 29 pazienti su 30 e poi 84 su 90 sarebbero guariti in massimo cinque giorni. Bisogna ora attendere la conclusione degli studi. Se davvero tutto andasse per il meglio, il farmaco potrebbe essere reso disponibile già nel corso del 2022.Attenti alle bufalePrima ci si è aggrappati al plasma dei guariti, poi all’idrossiclorochina sponsorizzata da Trump, che quando il Covid se lo è preso per curarsi ha però utilizzato un cocktail dei molto più accreditati monoclonali. Poi è stata la volta dell’ivermectina, l’antiparassitario che negli Stati Uniti ha provocato un’ondata di intossicazioni tra i sostenitori del «fai da te» farmaceutico. Adesso è il turno del Parvulan, un antivirale indicato per l’herpes zolster, illegale in Italia, ma del quale si registrano ora sospette richieste di importazione. Tanto da spingere la nostra Aifa a lanciare l’allarme. Eppure per evitare bufale basta poco: fidarsi degli esperti di Ema ed Aifa che autorizzano una terapia solo quando sicura ed efficace. E del nostro medico, l’unico capace di stabilire se quella pillola fa il caso nostro. —