il Giornale, 12 settembre 2021
Sgarbi parla del Falso nell’arte e delle teste di Modì
Sto preparando una grande mostra sul «Falso nell’arte»,che aprirà al Mart di Rovereto il 2 ottobre e rievocherà la figura di Alceo Dossena, specializzato prevalentemente nella scultura del Rinascimento. Una sezione sarà dedicata ai falsari dilettanti che, per divertimento, scolpirono con il Black & Decker, due teste di Modigliani che stregarono l’Italia, gettandole nel Fosso Reale di Livorno, dove furono recuperate come fossero quelle gettate in acqua dallo stesso Modigliani, insoddisfatto delle sue creazioni, nel 1909, poco prima di partire per Parigi. L’eccitazione fu grande e nessuno dubitò della autenticità delle sculture. Dovettero essere i tre ragazzi a svelare su Panorama la loro burla, dissolvendo una grande illusione collettiva, che non immaginavano di determinare. Tutto il mondo credette al ritrovamento delle opere buttate. Lo racconto qui, per come l’ho vissuto a partire dal 24 maggio 1984, alla notizia del ritrovamento.
ATTO PRIMO
Come la vedo io, la storia delle pietre di Livorno ha un aspetto più sconcertante e divertente di quello, pur tanto sconcertante e divertente che, per qualche mese di quasi quarant’anni fa, tutti abbiamo vissuto. Come critico d’arte e amico di alcuni dei protagonisti ho già visto tutta la storia da un luogo privilegiato. Voglio premettere che non sono mai stato particolarmente attratto dal mito di Modigliani e che, al loro rocambolesco apparire, le teste non eccitarono particolarmente la mia fantasia. Non fui travolto dal tripudio collettivo. Anzi, mi accadde qualcosa di insolito che le cronache del tempo, così attente a ogni mio piccolo movimento, non mancarono di segnalare. Qualche giorno prima della rivelazione dei giovani falsari (o meglio sarebbe dire dei burloni, giacché la storia sembra prendere spunto da Amici miei) fui chiamato da un amico che lavorava nella redazione di Panorama Mese il quale mi chiedeva, con fare allusivo, di scrivere un pezzo sulle teste ritrovate, contrapponendomi a Vera Durbé e dicendo che erano penose contraffazioni. Io, che sono incapace di obbedire agli ordini, dissi che non ne sapevo niente, non le avevo viste e che, nonostante i tempi stretti, sarei voluto andare a vederle di persona, quelle teste. Andai e, giudicando, come scrissi, «troppo sublime e ateistica» l’idea di una burla boccaccesca, pensai che tutto sommato le teste dovessero essere buone, ma che certamente non erano belle, e che richiamavano le primitive stele della Lunigiana (opere certamente aliene da intenzione d’arte); e che infine sarebbe stato assai opportuno ributtarle nel fosso. Giudizio molto limitativo e certo estraneo al clima di entusiasmo che in quei giorni circondava i reperti (alcune dichiarazioni di eminenti studiosi non mancarono in quell’occasione di sconcertare); ma nel complesso (mi pare) una posizione pacifica, come di chi non attribuisce alcun interesse (se non di spettacolo strapaesano) al ritrovamento delle fatidiche pietre. Modigliani d’altra parte è sempre stato un terreno insidioso, più di ogni altro tormentato dai falsi. Ma, in questo caso, più che del falso, l’idea della burla mi sembrava davvero troppo. Debbo qui riconfermare che il primo e l’unico in Italia a intuire come sembrano essere andate le cosi fu Mario Spagnol, il quale, con l’abilità del giocatore d’azzardo e lo spirito di chi fa una scommessa, puntò tutto sulla carta del falso; e vinse. Nessun altro, dico nessuno, indovinò il risultato; e nessuno, mi pare, mise in discussione l’interesse e la qualità estetica di quei manufatti. Ma di tutti – non dispiace dirlo – il meno indovino fu Federico Zeri, il quale non solo non riconobbe (come molti hanno invece creduto) che le teste non erano di Modigliani, semplicemente tacendo, perché non interpellato, in un primo tempo; ma poi, quando i ragazzi fecero le loro rivelazioni, fu ancora incerto. Dichiarò il 4 settembre: «Bisogna essere cauti.» E che «se erano vere le dichiarazioni dei ragazzi i critici avrebbero fatto una figuraccia». Soltanto una settimana dopo scese decisamente in campo con l’arroganza di chi (ma ci sono le sue dichiarazioni immediatamente precedenti) non ha mai avuto dubbi e ha sempre considerato quei manufatti «paracarri». Peccato che il suo occhio non abbia funzionato autonomamente e in anticipo. Eccolo comunque subito pronto, sui giornali e in televisione, a giudicare impietosamente i suoi inetti e indecorosi colleghi, proponendosi come unico conoscitore infallibile in una lugubre sceneggiata senza fondamento, come alcune delle successive. In realtà, com’era la situazione al di là di oscure macchinazioni e improbabili trame? Nessuno, salvo lo scommettitore Spagnol, pur augurandosela, sembrava aver veramente creduto alla burla. E, a pensarci bene, l’errore della critica, non avvezza al gioco d’azzardo, era abbastanza comprensibile e, per un verso, giustificabile. Comprensibile, per un motivo estetico: vi sono alcuni abbozzi sul retro delle sculture di Modigliani che hanno il carattere di veri e propri aborti, frammenti sbozzati e incompiuti. D’altra parte, anche per le sue opere finite, non bisogna dimenticare che il modello non è Fidia o Michelangelo, ma gli idoli primitivi, gli stessi che ispirarono Picasso e che non stupisce siano eseguiti in modo approssimativo. Chi risale a essi rinnega la grande tradizione che ha alle spalle; per cui pietre buttate di gusto primitivo, di Modigliani, potevano anche essere mal fatte. Nessuno l’ha detta, ma è una verità elementare. Ma, oltre a questo, cosa giustifica i Brandi, i Carli, gli Argan, i Leymarie e, naturalmente, i Durbé? Un fatto che non si è abbastanza sottolineato, e cioè che le analisi scientifiche avevano garantito che quelle pietre, con quel grado di umidità, erano in acqua da almeno settant’anni. Dunque anche la scienza è partecipe del fanatismo collettivo? Se questo non è accettabile, perché non dir che la magra figura e la vera sconfitta, in questa vicenda, non erano della critica, ma della scienza? E che la critica si era espressa anche poggiando sulle false garanzie della scienza? Certo la vera lezione è che la critica deve pronunciarsi autonomamente e deve mettere in discussione anche gli accertamenti della scienza. E perché allora creare un caso, se non perché la vicenda e l’artista si prestavano bene a una parabola che mettesse in ridicolo la superba, irritante e negromantica categoria dei critici? Ma in realtà l’effetto fu sonoro e clamoroso perché la burla, imprevedibile, si eresse subito come un monumento di se stessa. Intendo dire che il buonsenso collettivo e anche lo spirito volgare che lo accompagna si sentirono sollevati e liberati dell’obbligo di ossequio verso quegli insopportabili sacerdoti del bello che dovrebbero essere i critici. Non che il buon senso avesse giudicato diversamente dai critici ma adesso, a posteriori, poteva dissociarsi schierandosi dalla parte dei ragazzi, cioè del gioco, contro la seriosità accademica.
ATTO SECONDO
Un’amica, Giuliana Donà delle Rose, mi chiama per chiedermi di andare in televisione e giudicare, in una trasmissione condotta da Mike Bongiorno, il valore di una nuova «maschera di Modigliani» realizzata in diretta dai ragazzi che come il falsario di Vermeer, Han van Meegeren, devono esibirsi in una replica di se stessi. Spiego che non posso e che, pur essendomi molto divertito alla notizia della confessione dei ragazzi, non me la sento di prendere posizione pubblicamente contro Durbé, cui mi legano stima, affetto e umana simpatia (non sbagliavo: egli è stato certamente la vittima principale della vicenda). Oltretutto, per una strana coincidenza, subito prima o subito dopo (mi pare prima, ma non ricordo con esattezza), lo stesso Durbé mi aveva telefonato per chiedermi di aiutarlo in qualunque modo a impedire l’esibizione televisiva dei ragazzi. Non era certo in mio potere ma, un po’ per curiosità, un po’ con l’intenzione di fare qualcosa per Durbé, chiedo comunque all’amica di poter incontrare i fantasiosi ragazzi. E, in un ristorante di Milano, mentre loro si accingono ad andare a fabbricare l’ennesima scultura, tento spericolate acrobazie spingendo la logica fino al paradosso. Già da qualche giorno erano apparse sui giornali le inserzioni pubblicitarie della Black & Decker ispirate con ironia e divertimento alla stravagante impresa, con la riproduzione grafica della più lunare delle teste. A questo punto suggerivo: perché non chiedere alla grande industria americana i diritti d’autore per la riproduzione? Il che corrispondeva simmetricamente, anche per evitare dubbi ai figli e nipoti, alla rivendicazione di paternità dei capolavori illustrati e descritti con auliche e gloriose parole nel volume velocemente approntato da Durbé su due pietre ritrovate «di» Modigliani. Non di Modigliani dunque, ma, per i posteri, di Michele Ghelarducci, Francesco Ferrucci e Pietro Luridiana. Per meglio sostenere questa tesi, promisi loro (anche se poi circostanze oggettive me lo impedirono) di segnalarli come scultori dell’anno (come confutarlo?) sul Bolaffi. Ma non ero soddisfatto: l’azione più subdola la tentai provocandoli a condurre il gioco fino al limite estremo del divertimento e della finzione. Assolvere il simpatico Durbé dichiarando di aver mentito: il vero falso era che le sculture fossero false. Abbiamo scherzato: ci avete creduto. Abbiamo mentito. Un colpo di scena che avrebbe evidenziato ancor più la loro abilità e aperta la strada a nuove ipotesi. Ma naturalmente i ragazzi rifiutarono. Il destino di Durbé non era certo una cosa che li riguardava. E poi preferivano sentirsi eroi in quanto falsari piuttosto che abili mistificatori. Così iniziò l’olocausto: la trasmissione andò in onda, la dimostrazione fu data, e per chi aveva visto il fantasma di Modigliani fu vergogna.
ATTO TERZO
Vera Durbé dichiara in quei giorni che le tre teste di Modigliani sono autentiche. Chi la può smentire? Contro di lei c’è soltanto la parola dei ragazzi. Il magistrato non si è pronunciato, i periti non sono stati nominati, gli esperti non hanno reso note le loro conclusioni. Il ministero non ha preso ufficialmente alcuna posizione. Dunque il verdetto di falsità è stato emesso soltanto dai giornali che da tempo in Italia hanno sostituito la magistratura. Questo per il trionfo di una singolare giustizia: perché i falsari siano premiati e i raggirati puniti. D’altra parte, se è vero, come ho sentito dire, e come qualcuno può testimoniare, che la terza testa fu recuperata sotto una pesante lastra di pietra, certamente non poté essere buttata il giorno prima; e dunque bisogna ipotizzare che il fosso di Livorno fosse pieno di false teste di Modigliani gettate da burloni nel corso degli anni nella speranza che qualcuno le ripeschi. Io continuo a dire: per un occhio esercitato è più importante che siano brutte piuttosto che false. Questa è la vera condanna; di quelle teste, non degli uomini. Di chiunque siano è bene che tornino dove il loro autore le ha volute. Ipse dixit.