il Giornale, 12 settembre 2021
Firme per depenalizzare la cannabis
È l’ora dei referendum estremi. Prima l’eutanasia, ora la cannabis libera. Il quesito per depenalizzare il consumo personale della droga è stato depositato in cassazione, mentre Marco Cappato evoca numeri sfolgoranti sull’altro fronte: «Siamo a quota 850 mila firme».
Tante. Tantissime. Ancora di più se si pensa che il consenso sfrutta le nuove tecnologie e si coagula con la firma digitale. Insomma, meno banchetti e assembramenti – ai tempi del Civid oltretutto assai problematici – e invece l’ovattato, quasi silenzioso affermarsi di una mentalità radicaleggiante che ha naturalmente il suo quartier generale fra gli eredi di Marco Pannella ma trova sponda anche in un Pd che sul tema divisivo e postmoderno dei diritti civili sembra essersi spostato su posizioni liberal.
Il clima è quello già visto a proposito del ddl Zan, considerato irrinunciabile a sinistra e osteggiato invece a destra, con uno scontro frontale fra opposte fazioni, anche se negli ultimi giorni il testo sembra essere uscito dalle priorità dell’agenda politica.
In realtà tutto ciò che attiene alla sfera dei cosiddetti diritti individuali diventa incandescente nella discussione e taglia le Camere, pur fra contraddizioni e eccezioni.
La riprova è la spaccatura avvenuta questa settimana in commissione Giustizia a proposito della depenalizzazione della coltivazione della cannabis – non più di quattro piantine femmine – perlopiù, così si dice con accurata vaghezza, per uso terapeutico. Il testo, che ha due relatori – Riccardo Magi di +Europa e Caterina Licatini dei 5 Stelle – mischia pazienti e consumatori e i suoi promotori sottolineano, come sempre su questa frontiera in movimento, che la sua approvazione toglierebbe risorse e mezzi alla criminalità, e farebbe cadere finalmente la maschera dell’ipocrisia.
Alla fine Lega, Fdi e Fi hanno votato contro, ma la proposta è passata con i voti del Pd e dei 5 Stelle che a queste latitudini, e solo a queste, sembrano rinsaldare la vecchia alleanza giallorossa.
Ora alla mossa parlamentare si affianca la chiamata del popolo che in effetti in questi anni ha progressivamente aggiornato il suo credo su molte materie legate alla sfera personale. Spesso queste battaglie sono state condotte in nome della presunta lotta all’oscurantismo e ad antiche concezioni religiose ritenute ormai inadatte.
La Corte costituzionale è intervenuta, per esempio sul suicidio assistito, cercando di tenere in equilibrio spinte e controspinte, ma ora lo spirito radicale prova a scappare via, spingendo sull’acceleratore delle urne e proponendo un’idea seducente di libertà senza freni e senza confini. Naturalmente, nel segno della dignità umana.
Sull’eutanasia lo scatto sembra irresistibile: al 25 agosto, secondo i promotori, si era già arrivati a raccogliere 750 mila firme; ora Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni, annuncia: «Abbiamo superato le 850 mila firme. Anche se nessun capo di partito ha speso mezza parola. E con noi ci sono pure i cattolici». Affermazione da decifrare; la Chiesa sul punto è sempre stata intransigente: no all’accanimento terapeutico, ma no anche ad ogni forma di eutanasia.
Su questo tormentato versante, il Parlamento ha centellinato per anni gli interventi, ora si preferisce questa strada, muscolare, da abbinare magari alle incursioni a Montecitorio e Palazzo Madama, per stringere il Paese nella tenaglia della rivoluzione dei costumi. D’altra parte, questo è anche il campo dove sventolare bandiere altrimenti ammainate.