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 2021  settembre 12 Domenica calendario

Elisa Fuksas parla dell’effetto Vanoni e di sé

A un certo punto, con un sorriso in apparenza solare, in realtà ancora preoccupato, Elisa Fuksas sussurra: “Abbiamo rischiato di perdere Ornella”.
Perdere perché la Vanoni, stizzita, stava per abbandonare il set. Perdere perché, sempre la Vanoni, a 87 anni è entrata in una piscina di acqua fredda “dopo aver mangiato e bevuto di tutto”.
Elisa Fuksas è la regista di Senza fine (prodotto da Moreno Zani e Malcom Pagani per Tenderstories e Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside e Indiana production), un documentario in cui niente è come era previsto (“la sceneggiatura e il programma sono saltati dal secondo giorno”), ma è il risultato di una cavalcata sul dietro le quinte del cinema, di cosa vuol dire diventare una star e vivere da star (“in realtà Ornella è più un mito”), di come si affronta un set con una personalità così forte. Di come il regista deve mediare, magari capire l’ineluttabile, affrontarlo e renderlo inquadratura. Di come la storica frase di John Belushi in The Blues Brothers – “Sono in missione per conto di Dio” – è la stella polare di chi ha uno scopo e non intende fare prigionieri.
Perché la Vanoni?
Voglio che lei raggiunga l’eternità; anche se lei l’eternità l’ha già conquistata: la sua voce ti azzera anche quando vuoi litigare; così l’ascolti, ti trovi davanti il mito e la furia che può generare si stempera.
Sa di essere un mito?
Sì, però osservandola si ha la sensazione che il mito la abiti; (pausa) è consapevole ma non cosciente: il mito esce come un demone attraverso la sua voce; lei canta sempre, se uno a tavola dice “pane”, lei inizia con una strofa con dentro proprio “pane”.
Di stonare non le interessa.
Nulla. Lei incanta. Pure quando sbaglia le sue storiche canzoni o le cambia perché, sostiene, oramai l’hanno annoiata.
Era già un suo mito?
La questione mito non è parte di me.
Forse perché è cresciuta con un mito come padre.
È probabile, ma chi lo sa se è la mia natura? Però è vero, da subito sono stata abituata a confrontarmi con personalità molto forti; so trovare la distanza giusta per non morire e, allo stesso tempo, per permettere a queste persone di narrarsi senza morire: il racconto le consuma.
Il suo rapporto con la Vanoni.
In certi momenti le voglio bene come a una madre, come a un padre, come a una di famiglia e, come a una di famiglia, in certi momenti, la vorrei uccidere. Lei è urticante, perché è un mito, ti pone questioni personali, anche sul tuo rapporto con la dimensione assoluta ed eterna. E uno poi si chiede se diventerà mai come lei: assoluto ed eterno.
Ed è importante?
Non lo so, anche questo mi sono domandata; (pausa) tra i tanti temi che direttamente e indirettamente Ornella sollecita c’è quello del coraggio e del talento.
Come regista ritiene di avere talento?
Pure qui, non lo so; prima di questa intervista ho dovuto rivedere il trailer perché non ricordo mai quello che ho realizzato.
Cioè?
Non do molto spazio alla vita, per questo faccio succedere le cose per raccontarle. E allora o scrivo un libro oppure la mia dimensione preferita è quella della costruzione di un film, non del set.
Che accade sul set?
È un luogo dove può nascere qualunque situazione, dove girano persone, idee, energie, tensioni, soldi, tempo che passa.
Con la Vanoni vi sentite?
Sempre.
A lei il film è piaciuto?
E chi lo sa? Mi ha solo parlato delle rughe e si è stupita perché all’interno ho lasciato le nostre litigate; quelle litigate mi hanno salvato la vita professionale: poco dopo l’inizio delle riprese mi sono resa conto che la parte più interessante era ciò che avveniva fuori dall’inquadratura ufficiale. Ed è devastante.
L’importante è rendersene conto.
(Silenzio) Poi una sera Ornella non è voluta scendere per le riprese, ha parlato di stanchezza, di età, di mal di pancia. Io basita. Ma di fronte a certe motivazioni non potevo replicare.
Ha pur sempre 87 anni…
Appunto, quindi non ho insistito. Peccato che poco dopo mi hanno chiamato dalla produzione. Avevano incontrato Ornella: era fuori dal bar dell’albergo con in mano un gin tonic.
E lei?
Ho capito che il vero film era quello di raccontare la difficoltà nel realizzare una pellicola su di lei.
Infatti le vostre liti sono centrali.
La macchina da presa è stata la mia salvezza; (ci pensa) in una scena lei manifesta tutto il suo lato b, la sua insofferenza; diventa quasi capricciosa e si rifiuta di girare. Sono stata costretta a staccarmi dalla telecamera, nel frattempo ho chiesto al direttore della fotografia di non interrompere le riprese, ma senza farsene accorgere, e mentre camminavo verso di lei ho cercato di calmarmi. Ero furiosa.
E…
La realtà è che quando giri un film non ti frega un cazzo di nessuno. Devi solo arrivare in fondo e bene.
Ha pianto?
In quel caso no. Anzi, nonostante tutto, ho riso moltissimo. Con Ornella si ride.
Una canna con lei?
Non fumo.
Torniamo alla salvezza della macchina da presa.
Volevo litigarci, e avrei rischiato di perderla. Così mentre mi avvicinavo a lei ho recuperato quell’attimo di urbanizzazione mentale: sapevo che la cinepresa era accesa e che quel materiale lo avrei utilizzato.
Come entra il cinema nella sua vita?
Da sempre ho l’esigenza di scrivere; di recente ho ritrovato dei libretti di quando avevo sette anni con alcuni miei racconti: una pena.
Perché?
È tenero rileggere le vecchie riflessioni quando non sai niente di te e ti proietti a cinquant’anni dopo.
Qualcosa l’ha indovinata?
Non lo so, però sono sempre la stessa persona.
Ai suoi genitori leggeva questi elaborati?
No, però li mandavo ai giornali e la mia vita era scandita dall’aprire quotidianamente la cassetta della posta per attendere una risposta da Qua la zampa.
E dopo?
Finito il liceo ero incerta tra Lettere e Astrofisica.
Facoltà simili.
In realtà mi sarei iscritta a qualunque facoltà meno che Architettura. Quindi sono finita ad Architettura.
Sciogliamo questo arcano.
Non sapendo scegliere, l’unico cosa che so sempre è ciò che non mi piace: spesso cedo al “non” perché è l’unica certezza.
Con un padre architetto…
(Anticipa la fine della domanda) Seguire le sue orme sarebbe stata una follia e infatti non ci ho mai puntato.
Il cinema, come?
Anni fa, un amico che insegna in una scuola di cinema mi ha permesso di girare un corto di circa tre minuti. Sempre il mio amico lo ha mostrato a un produttore e gli è piaciuto.
E…
In realtà volevo diventare aiuto regista, ma nessuno mi voleva, il massimo dell’apertura è stata: ‘Dài, ti mettiamo nei titoli di coda’. ‘E che me frega? Voglio stare su set’.
A chi l’ha chiesto?
A un po’ di produttori e a Nanni Moretti.
Che ne pensa di Moretti?
Quando avevo dodici anni mia madre mi prendeva in giro, secondo lei sembravo proprio lui, soprattutto per la mia indecisione, l’asocialità, il vado non vado, il modo di mangiare sbagliato, soprattutto i dolci.
La svolta?
Per il mio primo vero corto ho chiesto i soldi a un gallerista milanese; (pausa) ai miei non potevo, mi avevano già comprato la casa, pareva brutto.
L’hanno rimproverata?
La loro reazione sconsolata è stata: ‘Perché devi vivere sempre così male? Così scomoda?’. Lo so, sono un po’ rigida: con mio padre non ho parlato quasi per un anno proprio per la casa. Non volevo quel regalo; (silenzio) Non può essere una colpa avere una famiglia che ti vuole bene e ti vuole aiutare.
Quindi l’ha vissuto come un senso colpa.
Eccome! Eppure quello (suo padre, ndr) ha lavorato tutta la vita, lavora ancora oggi come una bestia.
Il suo cognome lo ha sempre rivelato?
Sì, tanto si sbagliano tutti sia a scriverlo che ha pronunciarlo: ci mettono un po’ a capire.
Un po’ vi assomigliate.
(Non risponde, resta interdetta).
Lo sguardo.
Siamo dell’Est, della Lituania.
Ci è andata?
Mai, ho un un problema con la memoria: anche in questo mi sento vicina a Ornella.
Traduciamo.
Lei ha un’ottima memoria e un pessimo rapporto con il tempo passato: in tutto il film non ricorda mai una data, ed è da diventare matti perché mancano i riferimenti; (pausa) ho scoperto cos’è l’effetto Vanoni. Anzi, volevo intitolarlo proprio “Effetto Vanoni”.
Spieghiamo.
Tantissime persone hanno il suo mito, ma a livelli incredibili: quando la vedono perdono la testa, davanti a lei si obnubilano.
E su di lei?
Mi ha imposto questioni su quello che voglio fare, come voglio essere; sul rapporto con il tempo, con la morte.
La domanda che l’ha mandata in crisi.
Una sera, l’unica fredda, alle 23 dovevamo girare una scena in piscina, solo che la controfigura non sapeva nuotare.
Perfetto.
Ne parlo con Ornella e grazie alla mia capacità retorica la convinco a entrare in acqua.
Senza pietà.
Finite le riprese mi ha detto: ‘Sei stata crudele’; (sorride) insomma, prima della scena le avevo chiesto di non mangiare e invece si era scofanata la pizza, la pasta, il dolce e bevuto pure il vino.
Da restarci secca.
Uno dei produttori mi pregava: ‘Elisa per favore non la uccidere, o siamo rovinati’. E io: ‘Le avevo detto di restare digiuna’. Non solo: l’ho pure vestita con un abito pesantissimo, doveva impregnarsi di acqua, e mentre assistevo alla vestizione mi mostravo sicura di me, in realtà pregavo la Madonna.
Si è stupita di questa sua decisione?
Mi sono posta molte domande sull’approccio a quella serata: mi sentivo una merda, eppure non mi sono fermata.
È cinema.
Rivedo lei nell’acqua che urla mentre io cerco l’inquadratura giusta; a un certo punto mi avvicino, e in quel momento mi pone la domanda che mi manda in crisi: ‘Voglio sapere quello che devo fare e lo faccio’.
E perché è andata in crisi?
Sapevo esattamente cosa volevo, però mi ha schiantato la sua chiarezza d’intenzione e di riproduzione dell’intenzione. A me questo aspetto manca.
Cosa le ha insegnato la Vanoni?
La libertà in un periodo come il nostro in cui si promuovono leggi per censurare, quando in realtà non c’è più nulla da bollare. Tutti sono terrorizzati dal venire aggrediti: siamo diventati gli impiegati di un ministero invisibile.
È una radical chic?
No.
È stata bollata come tale?
Lo può pensare chi non mi consce, ma non ho niente di quel mondo, non mi piace niente di quel mondo lì; in realtà sono solo radicale, chic non credo e da mio padre ho ereditato la non appartenenza: lui è figlio di un medico morto nel 1950, che è arrivato a Roma per caso e si è innamorato di una ragazza che studiava Filosofia. Per stare insieme sono scappati di casa e mia nonna ha portato con sé solo libri. Mio padre è diventato orfano a sei anni e a sei anni cucinava alla madre che insegnava lontano da Roma. Papà si è sempre sentito un esule.
Girerebbe un documentario su suo padre?
Ci ho pensato a lungo e questo lavoro con Ornella mi ha posto di nuovo il dilemma. Non so se sono in grado, ma in fondo sarebbe un modo di rendere grazie a qualcuno che non ha mai grazia con se stesso.
Chi è lei?
Una eterosessuale. Un mammifero eterosessuale.
Unica certezza.
È difficilissimo rispondere e non mi interessa neanche tanto capirlo; meglio capire chi sarò.