Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 12 Domenica calendario

Agnès Buzyn, la ministra francese indagata per incapacità occuperà un posto di prestigio all’Oms

Agnès Buzyn è stata iscritta nel registro degli indagati per “aver messo in pericolo la vita altrui” con la sua cattiva gestione della pandemia di Covid-19 dalla Corte di Giustizia della Repubblica (Cjr), la sola in Francia a poter giudicare i ministri passati o in carica. La Buzyn è stata ministra della Salute del governo di Emmanuel Macron dal maggio 2017 al febbraio 2020. Era lei dunque responsabile del dicastero quando la Cina annunciò la comparsa di un nuovo coronavirus e si preparava a chiudere una città di undici milioni di abitanti come Wuhan.
Il 24 gennaio 2020, uscendo dal Consiglio dei ministri, Agnès Buzyn, ematologa, rassicurò i francesi: “Il rischio di importazione del coronavirus è molto basso”. Il 26 assicurò che “le mascherine sono completamente inutili per le persone non infettate”. Pochi giorni dopo, il 30, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) dichiarava invece che l’epidemia di Covid-19 è “un’emergenza di salute pubblica di portata internazionale”. Quindi, il 16 febbraio, ormai in piena crisi sanitaria, Buzyn lasciò il governo per candidarsi a sindaco di Parigi, probabilmente spinta dalle pressioni dell’Eliseo, per sostituire il macronista Benjamin Grivaux, travolto da uno squallido scandalo di sex tape.
La campagna per Parigi fu un disastro. Il 17 marzo, mentre la Francia si confinava, Buzyn, umiliata alle urne, rilasciò un’intervista a Le Monde: “Lasciando il ministero – diceva –, piangevo perché sapevo che l’onda dello tsunami stava arrivando”. Perché allora andarsene se la situazione era così grave? si chiesero i francesi all’epoca e la parola di Buzyn non fu più credibile. La Cjr aprì l’inchiesta nel luglio 2020, dopo una pioggia di denunce contro l’impreparazione del governo, che si era fatto cogliere dall’epidemia senza i dispositivi sanitari di base come mascherine, camici per i medici e tamponi. Il governo fu anche accusato di aver reagito in ritardo all’emergenza e, sulla scia di inchieste giornalistiche, di aver mentito sulle mascherine, dicendo ai francesi che non servivano a proteggersi dal contagio solo per nascondere che gli stock in realtà erano vuoti.
In tutto si parla di 14.500 denunce (di cui una piccola parte è stata giudicata legittima), contro Agnès Buzyn, ma anche contro l’ex premier, Edouard Philippe, e l’attuale ministro della Salute, Olivier Véran. La messa sotto inchiesta di Buzyn è la prima in questo dossier incandescente per Macron, con le prossime presidenziali tra meno di sette mesi, mentre l’epidemia ha fatto più di 115 mila morti in Francia e migliaia di persone protestano nelle strade contro il pass sanitaire. Altre convocazioni – che non necessariamente sfoceranno in nuove iscrizioni al registro degli indagati – potrebbero seguire e mettere in difficoltà anche lo stesso Véran, i cui uffici e la casa sono stati perquisiti l’ottobre scorso e del materiale informatico confiscato, con l’obiettivo anche per i magistrati di capire se il governo avesse tutti gli elementi per riconoscere l’emergenza e, in caso affermativo, se li avesse ignorati.
Dopo la catastrofica parentesi in politica, Agnès Buzyn, 58 anni, è tornata a indossare il camice bianco all’ospedale militare Percy di Clamart, nella regione parigina, prima di essere chiamata, a gennaio, a un posto di prestigio all’Oms, a Ginevra. Ieri il premier Jean Castex ha preso le difese dell’ex ministra: “Nessuno può dubitare della serietà e dell’impegno dimostrati da Agnès Buzyn all’inizio di questa epidemia senza precedenti, in un momento in cui nessuno ne conosceva i rischi reali”. La macronista Aurore Bergé, presidente del gruppo LaRem in Assemblea, ritiene invece che la decisione della Cjr sia un “pericoloso precedente”: “Se un ministro dovrà un domani essere indagato per ciò che non avrebbe dovuto fare, per non aver fatto abbastanza o averlo fatto male, su quale criteri si definirà il ‘male’ fatto?”.