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 2021  settembre 12 Domenica calendario

I veterani dell’Afghanistan costeranno 2.500 miliardi di dollari da qui al 2050

Quello del maggiore dell’aeronautica militare Brian Lienbow è il racconto dei drammi terribili e silenziosi della stagione delle guerre infinite nate dalle macerie degli attentati dell’11 settembre 2001. Guerre che con il ritiro degli ultimi soldati dall’Afghanistan sono state dichiarate finite da Joe Biden. Ma che ancora moltiplicano il bilancio delle sofferenze e delle vittime, falcidiando un esercito di centinaia di migliaia di reduci. Una generazione che tuttora, anno dopo anno, combatte su un nuovo fronte domestico le conseguenze di conflitti che per troppi non hanno ancora fine.
Anche in cifre economiche il costo umano della tragedia è pesante: da qui al 2050 l’assistenza ai veterani richiederà fino a 2.500 miliardi di dollari stando al Cost of War Project della Brown University. Più dei circa duemila miliardi spesi da Washington in vent’anni di guerra guerreggiata. E molto più del budget per i reduci del Vietnam che, in analisi della Duke University, in dollari di oggi è stato forse di mille miliardi, nonostante otto volte i soldati uccisi e il triplo di feriti ricoverati. «Mentre gli Stati Uniti chiudono questo capitolo di storia militare, una generazione di veterani e famiglie non potrà farlo», denuncia il rapporto. «Il prezzo in sangue, fatiche e fondi durerà per il prossimo mezzo secolo».
Lienbow è uno dei pionieri dei lunghi conflitti e testimone delle ferite ancora aperte: oggi 46enne, nell’ottobre 2001 era stato mobilitato per una missione segreta cruciale per cacciare i talebani dall’Afghanistan. Il suo 23° Special Tactics Squadron fu incaricato di operazioni con grandi elicotteri Chinook e MH-53 a fianco delle offensive di terra. Intervistato da Air Force Magazine, confessa adesso il nuovo dramma con la voce rauca di chi è reduce non più da combattimenti ma dalla lotta contro il cancro. Un linfoma non-Hodgkin affrontato con ripetute operazioni alla gola e intubazioni. Legato, come innumerevoli altre sindromi e invalidità, alla guerra: nella base dalla quale operava, una ex struttura sovietica battezzata K2, la sua squadra è stata esposta a sostanze tossiche dai burnt pit, rude sistema per incenerire con carburante per velivoli ogni materiale di scarto, come accaduto ad altri 238mila soldati in diverse aree di guerra.
I 2.500 militari di K2 sono un esempio della grande armata che ha servito in Afghanistan e in Iraq. E se la sua esperienza di esercito di volontari anziché di leva ha forse trovato meno eco del Vietnam, la guerra che più di tutte ha traumatizzato il Paese, i suoi ranghi, in vent’anni di conflitto, sono enormi. E le ferite sopportate da questo pezzo di società senza precedenti. Il dipartimento della Difesa calcola che almeno 832mila soldati abbiano servito in Afghanistan. Più complete stime parlano 3,5 milioni di reduci da Afghanistan e Iraq, età media di 37 anni. E dal 2001 al 2021 ben 4,59 milioni di uomini e donne hanno fatto parte delle forze armate e sono stati congedati: abbastanza da trasformare i reduci post 11 settembre in un quarto di tutti i veterani.
Ci sono poi i dati cupi sulle loro condizioni: il dipartimento della Difesa riporta ufficialmente 7.057 soldati uccisi e 53.242 feriti in combattimento nel corso della Guerra Globale al Terrorismo. Ma la ricerca della Brown University dà conto di menomazioni gravi come mai prima e di ben il 36% dei reduci afflitti da Ptsd, stress post-traumatico. Le guerre «hanno creato una crisi dell’assistenza ai reduci, con tassi di invalidità ben oltre i precedenti conflitti», ha indicato Linda Bilmes della Harvard University e tra gli autori dello studio. «È un costo di lungo periodo per veterani e contribuenti», aggravato da «più frequenti e lunghi tour al fronte, più elevati livelli di esposizione a combattimenti, maggior incidenza di serie invalidità e terapie mediche più complesse».
La differenza dai conflitti del passato è drastica. Il 77% dei veterani del dopo 11 settembre è finito in prima linea almeno una volta contro meno del 60% in precedenti conflitti. Il 58% è stato in combattimento contro il 31% e metà ha riportato traumi, il doppio del passato. Risultato di guerre mutate, a cominciare dall’ampio ricorso a «mercenari» privati in logistica e manutenzione: in Afghanistan per ogni soldato sono stati mobilitati 2,5 contractor, rispetto a un rapporto di cinque a uno in Vietnam. Risultato: oltre il 40% dei reduci ha già diritto ad assegni a vita, entro trent’anni saranno il 54 per cento. Questa percentuale per il Secondo conflitto mondiale, la Corea, il Vietnam e la prima guerra del Golfo è stata del 25%. Le probabilità di invalidità per i soldati sono balzate al 43% contro il 16% del Vietnam.
Più di metà dei feriti gravi in Afghanistan sono sopravvissuti grazie a cure e tecnologie mediche che non c’erano in passato, ma questo comporta che oltre il 20% dei reduci abbia un’invalidità superiore al 60% contro meno del 10% precedete. In cifre assolute oltre un milione di recenti veterani ha drammatiche disabilità (su 1,8 milioni che presenta forme di invalidità). E i nuovi reduci rappresentano metà dei disabili gravi pur essendo il 24% della popolazione di veterani.
Della cifra totale di 2.500 miliardi ora considerati necessari per i veterani, mille serviranno al sistema sanitario del ministero di Veteran Affairs. Altri 1.400 per assegni di invalidità. Potrebbero non bastare ancora: il Congresso discute leggi, il Pact Act, per rafforzare un’assistenza giudicata inadeguata. Tra le proposte, uno speciale Veterans Trust Fund. Certo è che gran parte dei costi deve essere ancora pagata, con picchi ipotizzati tra 30-40 anni. Il confronto della spesa per i reduci alla vigilia e dopo vent’anni di conflitti è già prova dell’escalation: nel 2001 rappresentava il 2,4% del tesoro federale, l’anno scorso è salita al 4,9% su un totale di veterani assistiti diminuito a 18,5 milioni da 25,3. Le lunghe guerre del post 11 settembre minacciano di rimanere più di un tragico passato; il presente e il futuro di un’America perseguitata dal volto emaciato dell’ex maggiore dell’aviazione Brian Lienbow.