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 2021  settembre 12 Domenica calendario

LeBig Five valgono quanto il Pil di Giappone e Germania messi insieme

Wall Street vale 21 volte gli utili attesi nel prossimo anno. Lo stesso multiplo scende a 16 quando ci si sposta sull’azionario europeo. Gli investitori possono leggere questa differenza in due modi: 1) la Borsa statunitense è più cara e di conseguenza più rischiosa; 2) le Borse europee sono meno attraenti. Se consideriamo che questa distanza di valutazioni tra le due aree non è un dato occasionale ma ormai è una costante che va in scena da diversi anni nelle sale dei mercati finanziari, ricaviamo che la maggior parte degli operatori sposa la seconda definizione. Come mai gli investitori sono più attratti dal listino Usa? La risposta è semplice: perché nel catalogo ci sono “pezzi da 90” di cui i panieri del Vecchio Continente sono ad oggi sprovvisti. Ci riferiamo alle “big five”, le cinque società più capitalizzate della Borsa di New York. Nell’ordine: Apple (che vale oltre 2.400 miliardi di dollari anche dopo averne bruciati 85 venerdì sera perché un giudice le ha ordinato di allentare le restrizioni sull’App store), Microsoft (che è a 2.220 miliardi), Google (la chi holding Alphabet capitalizza circa 1.900 miliardi), Amazon (1.756) e Facebook (quasi 1.100). Questi colossi per semplicità vengono aggregati anche sotto l’acronimo Famag. A marzo 2020 – quando l’allora poco conosciuto Coronavirus piegava le Borse sui minimi e lanciava la volatilità alle stelle con l’indice Vix a 85 punti – capitalizzavano 4mila miliardi. Ad inizio 2021 il loro valore si è “gonfiato” a 7.500 miliardi e adesso sono vicinissime alla soglia monstre e psicologica dei 10mila miliardi. Giusto per avere un’idea, queste cinque società valgono quanto il Pil di Giappone e Germania messi insieme. In pratica cinque società private oggi vengono valutate dagli investitori quanto la terza e la quarta economia del pianeta. Numeri impressionati ma che trovano, trimestre dopo trimestre, linfa e forza da utili e fatturati. Sia ben chiaro, i prezzi sono cari rispetto alle medie storiche e sono inevitabilmente gonfiati dall’abbondante liquidità che la banche centrali (Federal Reserve in primis) stanno riversando sui mercati nel tentativo di controllare tassi e inflazione.
Le Famag fanno parte della categoria dei titoli growth (ad alta crescita) che beneficiano di un contesto macro di bassi tassi di interesse (l’attuale) e che sono meno esposti al ciclo economico a differenza dei titoli value. Proprio questa seconda caratteristica, a detta degli esperti, potrebbe rivelarsi decisiva in questa fase quando gli Stati Uniti sembrano vicini alla cosiddetta “teoria dei tre picchi”. Gli Usa infatti sembrano aver raggiunto i livelli massimi 1) in termini di espansione monetaria (non a caso si parla di tapering), 2) fiscale, 3) e di crescita economica (Goldman Sachs ha ridotto le stime sul Pil del 2021 dal 6% al 5,7%). Sommando i puntini e aggiugendovi le incertezze legate alla variante Delta (nell’ultima settimana i casi di Covid sono aumentati del 300% rispetto alla settimana del Labor Day) lo scenario a Wall Street (le cui valutazioni sono già abbastanza tirate dai 53 massimi storici messi a segno nel corso di quest’anno) sembra quanto meno incerto. Ed ecco che titoli come le “big five” (che incidono per il 50% sulla performance del Nasdaq 100 e per circa un quarto per quella dell’S&P 500) vengono osservati con un ulteriore occhio di riguardo dai gestori.
«Non appena il mercato inizia a scontare lo scenario dei tre picchi questi titoli diventano la migliore boa a cui aggrapparsi, il contenitore migliore su cui parcheggiare la liquidità – spiega Paolo Belvederesi, direttore generale di Zeygos -. Sono visti dagli investitori come una sorta di porto sicuro quando aumenta l’incertezza sulla capacità delle altre aziende più esposte al ciclo di esprimere tassi di crescita interessanti».
In quest’ultima parte dell’anno l’investitore si trova quindi di fronte a un dubbio amletico: meglio preferire titoli a prezzi più bassi le cui potenzialità dipendono dall’andamento del ciclo macro (tipicamente titoli value) oppure virare su titoli con valutazioni molto care ma in grado di mantenere elevati tassi di crescita anche in momenti di perdita di momentum del ciclo macro, come potrebbe essere quella attuale stando alla dinamica dei tre picchi?
«La scelta sta cadendo sempre più sulla seconda opzione – prosegue Belvederesi -. Perché in caso di rallentamento macro, i multipli a cui trattano le value stocks sono destinati a contrarsi perché tenderebbero a scontare minori profili di crescita. Al contrario, i titoli growth manterrebbero i multipli invariati proprio perché beneficerebbero di questo travaso guidato dalla necessità di posizionarsi su titoli con visibilità futura degli utili. Ma chi fa questo mestiere da tempo ormai lo sa. Tutto può cambiare all’improvviso. I titoli Famag non sono senza rischi. I loro multipli elevati potrebbero essere messi in discussione da un momento all’altro, o meglio, ad essere più precisi, non appena Jerome Powell inizierà a dare segnali più precisi sul timing del tapering e del rialzo dei tassi. È quindi sempre più importante guardare il mercato con l’ottica del Bond Investor che monitora continuamente l’andagmento dei tassi sulla curva e l’andamento del ciclo macro».