Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 11 Sabato calendario

Intervista all’attore Andrea Carpenzano

L’ultimo giovane leone, alla Mostra che si chiude stasera, è il più riluttante, Andrea Carpenzano. Al cinema è arrivato per caso, a scuola la professoressa lo aveva incoraggiato a fare il provino di Tutto quello che vuoi con Francesco Bruni, l’amica che era con lui aveva sbirciato e visto segnato, vicino al suo nome, un cuoricino. Nel film (Sky Original, Indigo, Vision) che Francesco Lettieri porta alle Giornate degli autori l’attore 26enne è Lovely Boy, star della trap ("ma la nostra musica non ha un nome" dice il personaggio), talento e solitudine in viaggio verso l’autodistruzione tossica. Poco possono la sua ragazza e i genitori, che pure lo fanno entrare in una comunità. Al sesto film, tra La terra dell’abbastanza e Il campione, è chiaro, anche se Carpenzano gioca a
negarlo, che l’attitudine si è fatta vocazione.
Come è entrato in "Lovely Boy"?
«Ho incontrato Lettieri, ho pensato che si potesse fare una cosa divertente sullo sfondo della trap. È un mondo che conosco. Passo da Paolo Conte a Sfera Ebbasta in un quarto d’ora, sono una puttana dell’ascolto».
E cantare?
«Non serviva una gran voce, ti aiuta l’autotune, ma il coach ha detto a me e Enrico Borrello: siete meglio di gente con cui ho a che fare.
Rivedendo il film mi sono fatto schifo, ma non sul palco».
La scena più complicata?
«Ho avuto un attacco di panico in quella in cui mi faccio una pera».
Fa personaggi diversi, che sembrano tutti cuciti su di lei.
«Ovvio che ci sei tu, il naso, la bocca, il mento, i lobi ridicoli, ma li muovi in modo diverso. E poi ci sono i tanti fratelli e sorelle che abbiamo dentro. La recitazione è sopravvivenza. Ai personaggi non metto retorica o sovrastrutture. Il mio musicista non pensa mai alla rinascita, neanche al rehab, la sua è sopravvivenza quotidiana a 300 pensieri l’ora. È anche un po’ ridicolo e mi piace, è reale».
Il suo trapper ha qualcosa di Arturo "Side Baby" Bruni, ex Dark Polo Gang: la dolcezza, il rapporto con i genitori. Avete girato insieme il film di Bruni, suo padre.
«Ho osservato tante anime di quel mondo lì: le movenze, gli sguardi, parlare da solo al telefono, il modo di postare le storie».
Lei ha contributo al personaggio.
«Sul set si scambiano pensieri, sensibilità, si comunica senza parole, si creano cose inaspettate. L’unica qualità che mi riconosco è che le cose cerco di farle bene, prima per gli altri che per me. Il film è dei registi, ci metto tutto quel che ho, penso solo a quello: non esco, non vedo mia madre, nessuno.»
I D’Innocenzo sono qui in gara.
«Siamo sempre insieme, siamo fratelli. Ci piacciono le stesse cose, siamo diversi e in sintonia. America Latina è meraviglioso e lo sarebbe anche se fosse andato alla sagra della salsiccia. Ho incontrato anime artistiche diverse e mescolarle nella mia testa è un esercizio bellissimo».
Cosa l’aspetta ora?
«Ho finito un film con Chiara Bellosio, ha una sensibilità silenziosa e bella. Si chiama Calci in culo, interpreto Amanda. Unisco tre cose che per la mia sanità mentale non sarebbero buone: passo da un giovane travestito al San Francesco della Nicchiarelli nel film Chiara ».
Quando non è sul set?
«Non faccio nulla. Che è il lavoro più grande. Perché devi frenare i pensieri, ed è complicato».
Se non avesse fatto l’attore?
«Non avevo un piano A, figuriamoci se ho un piano B».