Claudia, perché i Novanta affascinano le nuove generazioni?
«È stato allora che la moda è davvero penetrata nella società, modificandone usi e costumi. Penso al Gucci di Tom Ford o alle foto di Kate Moss per Calvin Klein: estetiche diverse, ma altrettanto influenti. Allo stesso tempo, Mtv ha iniziato a trasmettere programmi a tema per i più giovani, nell’editoria si sono moltiplicate le testate, e sono esplosi i fenomeni delle top model e dei designer superstar. Era frenetico».
Come ha selezionato le immagini?
«Chiedendomi: questa foto è davvero "Novanta"? Rappresenta la visione di quegli anni, che siano il bianco e nero di Peter Lindbergh o il realismo di Mario Sorrenti? Mi premeva renderne l’eclettismo espressivo, anche nelle tecniche fotografiche, dalla stampa ai sali d’argento alle Polaroid, fino alle istantanee non posate, più vere e spontanee, che ho raccolto nel tempo. Una massa di materiale che mi ha spinto a un allestimento diviso per temi, senza un ordine cronologico».
Le sue foto preferite?
«Per valore sentimentale, i miei primi test. E un mio ritratto di Helmut Newton, con cui ho avuto l’onore di lavorare».
Provocatorie come sono, forse le opere di Newton oggi non sarebbero pubblicate.
«Lo ripeto, è stato un onore incontrarlo. Ci capivamo: entrambi tedeschi, organizzati, calmi e controllati. Il suo lavoro fa discutere perché ha ribaltato i canoni dell’immagine femminile, narrando con intelligenza ogni aspetto della sessualità. Le sue donne sono forti, nel corpo e nello spirito. Ho inserito un suo scatto di Carla Bruni con il monocolo, mi pareva calzante».
All’epoca cosa la spiazzava di più?
«Che noi modelle fossimo come rockstar: avevamo bisogno della security anche solo per salire in auto.
C’era chi faceva dei buchi nelle tende delle sfilate per fotografarci mentre ci svestivamo, perciò i backstage erano pieni di bodyguard. Io ne avevo una per la mia biancheria: quando mi cambiavo per gli show e la lasciavo, me la rubavano sempre! Follia».
Come ha capito di avercela fatta?
«Merito delle foto di Ellen von Unwerth per Guess nel 1989. Ci siamo conosciute a Parigi quando avevo 17 anni, e siamo diventate subito amiche. Eravamo entrambe agli inizi, e un giorno Paul Marciano di Guess ha visto i provini che Ellen mi aveva fatto un pomeriggio al Centre Pompidou. Ci ha ingaggiato per la campagna, e poi sono diventata pure il volto del profumo. Per lanciarlo mi hanno mandato in tour nei department store americani e ai talk show di Leno, Oprah, Letterman.
Finito tutto, una mattina sono nell’ascensore del mio condominio a New York, assonnata e spettinata: sale un tizio che mi vede e sbotta, "Ma tu sei la ragazza Guess!". Lì ho saputo che la mia vita era cambiata».
Karl Lagerfeld è molto presente.
Lui l’ha portata in passerella, giusto?
«Giusto. Un legame lungo 30 anni, il nostro. Karl ha trasformato questa timida ragazza in una supermodella, mi ha insegnato a sopravvivere in questo mondo. Mi ripeteva sempre di rimanere fedele a me stessa e di seguire il mio istinto: aveva ragione».
Epocale un suo shooting a Roma nel 1995: la città era impazzita.
«Campagna Valentino, foto di Arthur Elgort, ispirazione La dolce vita .
Proprio come nel film, ci siamo ritrovati inseguiti dai paparazzi. Il massimo è stato quando, per una foto, mi sono affacciata al balcone salutando la folla che s’è messa a scandire il mio nome tipo stadio».
Come ha scelto il manifesto, una foto di Richard Avedon per Versace del 1994, con lei e le altre top?
«Quelle immagini incarnano il glamour e la creatività di allora: Gianni – una persona splendida, come sua sorella Donatella – ha reso le passerelle veri show. Per esempio, ricordo noi che sfiliamo al ritmo di un brano di Prince, mentre lui è seduto in prima fila a guardarci. Irripetibile».