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 2021  settembre 11 Sabato calendario

Biografia di Lorella Cuccarini raccontata da lei stessa

Lorella Cuccarini, lei che è stata a lungo «la più amata dagli italiani» di un celebre spot, a che punto della vita è?
«Mi ritrovo in quel refrain di Jovanotti: sono un ragazzo fortunato perché mi hanno regalato un sogno. Se penso alla mia infanzia, alla situazione che vivevo, fatico a non emozionarmi: sognavo di fare della mia passione il mio mestiere, magari diventare ballerina di fila, ma tutto è stato più bello e gigantesco di ogni ambizione di quella bambina». 
Siamo al quartiere Prenestino di Roma, fine anni ’60, primi ’70. 
«Mamma sarta, mi ha cresciuta lei, con tanti sacrifici, dopo la separazione da papà. Due fratelli più grandi: ancora oggi, a 56 anni, sono la piccola di casa che deve essere protetta. A tre, allo specchio emulavo i balletti dei varietà tv. Da lì a studiare danza, ho dovuto aspettare i nove anni, quando abbiamo cambiato casa e c’era vicino una palestra con qualche lezione di balletto». 
Quando ha capito che voleva fare quello? 
«Non lo so, so che finite le medie, scelsi di fare la segretaria nella scuola di danza pur di continuare ad allenarmi, e so che avevo due modelli: Carla Fracci e Raffaella Carrà, scegliere fra danza classica e moderna è stato un dilemma. Nel 1980, per vedere una memorabile Fracci con Rudolf Nureyev in Giselle all’Opera di Roma, feci con tutta la famiglia una staffetta al botteghino, di notte, per prendere i biglietti più economici in piccionaia. Poi, sei anni dopo, ero con lei sulla copertina di Tv Sorrisi e Canzoni e mi sembrò qualcosa di inimmaginabile, uscito dalla sceneggiatura di un film». 
A quel punto, era la star di Fantastico: 22 milioni di telespettatori ogni sabato sera e la danza classica messa da parte. 
«A 12 anni, non fui ammessa all’Accademia, fu una delusione enorme, la vissi come un’ingiustizia. Ma cominciai a implementare danza moderna e jazz, in fondo, ero sempre stata attratta dai lustrini, dalla donna di spettacolo a tutto campo, da Raffaella. Anche lì, accadde una cosa inimmaginabile: Enzo Paolo Turchi selezionò dei ragazzi per un numero con lei. Avevo forse 13 anni, mi scelsero. A vederla a un passo da me, con un lungo abito bianco, mi emozionai così tanto che, a casa, mi venne l’orticaria». 
Quando Carrà è mancata, sui social qualcuno ha tirato fuori un vecchio post in cui lei diceva che non vi siete parlate per anni. 
«Con Carla, c’è stato un rapporto che è cresciuto nel tempo; con Raffaella, non ho avuto questa fortuna, ma nessun incidente di percorso può cancellare quello che una persona ha rappresentato per te: la possibilità di vedere un sogno e poterlo inseguire». 
Le sue sliding doors quali sono? 
«Una convention di gelati che, a guardare la paga, avrei rifiutato. C’era Pippo Baudo, mi vide e mi fece chiamare dal suo agente. Io mi dicevo: non può capitare a me, dov’è la fregatura? Nel dubbio, mi feci accompagnare da mamma». 
Temeva un caso di Me Too? 
«Pippo ancora se lo ricorda con divertimento. Poi capii che entravo dalla porta principale». 
E, se uno entra dalla porta principale, è in salvo dalle brutte esperienze? 
«No, ma sono stata attenta. Dove sospettavo il pericolo, sono sempre fuggita in tempo». 
Cosa significava essere la prima ballerina del più importante varietà degli anni ’80? 
«La bellezza di lavorare senza l’ossessione per costi e ascolti. Stavamo otto ore al giorno in sala prove, provavamo anche due balletti, la sigla. Oggi, ti danno forse due giorni per far tutto, la tv è cambiata. Un balletto costava, solo di costumi e scenografia, una cifra che oggi sarebbe l’intero budget di una prima serata». 
Quanta fatica sono otto ore di sala prove? 
«Nel nostro mestiere deve esserci una componente di masochismo... Ricordo le volte che sono finita al Pronto soccorso... Per i lividi alle gambe, mi faceva dolore tenerci sopra il lenzuolo. Gino Landi dice che sono stata un modello perché non ho mai detto no a un coreografo. Era uno sperimentatore, mi ha mandata all’ospedale quattro o cinque volte. Un giorno, mi fece fare una serie di spaccate su una fila di dieci tavolini messi a distanza di un metro e mezzo. Passavo da uno all’altro con due porteur che mi tenevano per l’ascella, su una musica tipo can can: gamba, spaccata; gamba, spaccata. Avevo i polpacci neri. Una volta, sono caduta e ho battuto la nuca; un’altra, un ballerino non fece in tempo a prendermi... Ma mi chiamano bertuccia: cado sempre bene. È una qualità che affini col tempo». 
Beyoncè, che le ha copiato una coreografia al Billboard Music Awards 2011, ha detto che lei è un genio. 
«È bello pensare che un pezzettino di creatività italiana, una cosa che facevo tutte le sere a teatro e avevo portato a Sanremo, ha varcato l’oceano. Devo ringraziare Antonella, la truccatrice che gliela fece vedere su Youtube». 
Quando l’era del varietà è finita ha fatto di tutto: da Paperissima a Buona Domenica e Domenica in, da Scommettiamo che a La sai l’ultima?, a Vita in diretta, e ora l’insegnante di canto ad Amici. Rimpianti per la fine di un’epoca? 
«No, perché mi sono sempre vista come una donna di spettacolo. Nella mia vita, ci sono tante prime volte, segno che rischio in prima persona. Mi piace quando puoi dire di aver aperto una strada, come il musical: fare Grease sembrava impensabile e invece siamo stati in scena tre anni di seguito. Le cose cambiano e io mi proietto in avanti: non puoi fermare il vento con le mani. Il momento più brutto fu quando la Rai mi lasciò a casa tre anni senza lavorare e senza darmi una spiegazione. Nello stesso periodo, persi mamma, mi operai alla tiroide. Ma, col senno di poi, è stato uno di quei momenti in cui dai il giusto valore a ciò che hai costruito, capisci che nulla ti è dovuto e ogni conquista va guadagnata». 
L’amore per Silvio Capitta, in arte Silvio Testi, quando e come arriva? 
«Prima, a Fantastico, avviene l’incontro professionale col produttore musicale. Mi è piaciuto subito, ma in quel momento non poteva scattare nulla: mi stavo giocando l’opportunità della mia carriera, non avevo in testa altro. Poi ci siamo persi e quindi ritrovati: lo volli con me quando andai in Fininvest, lavorò anche alla celebre sigla La notte vola. Quando si sta bene insieme, possono venire solo cose belle. Insomma, io ero libera, lui si liberò. Il 3 agosto abbiamo festeggiato 30 anni di matrimonio». 
Con quanti alti e bassi? 
«Momenti difficili non mancano in nessuna famiglia, ma l’aspetto più bello è accorgerti che cammini sempre insieme». 
Perché ben quattro figli? 
«Perché non ho avuto il tempo di farne altri. Vengo da genitori separati e le strade erano due: o perdi la fiducia di fare famiglia e o ci credi fermamente». 
Le rivalità con Alessandra Martinez e Heather Parisi quanto erano marketing e quanto erano vere? 
«Io sono sempre andata d’accordo con tutti». 
Con Martinez si disse che eravate arrivate alle mani in camerino. 
«Alle mani mai. L’unica volta che sono arrivata alle mani con qualcuno fu a 18 anni, con una ragazza: faceva la gatta morta col mio fidanzato e, prima di prendermela con lui, me la presi con lei. Dopo, sono stata sempre pacifica». 
Parisi in tempi recenti le ha dato della «ballerina sovranista». 
«Lasciamo stare, parliamo della bellezza di essere italiani». 
Ce l’aveva con lei che si era espressa contro l’utero in affitto e che, dopo, si è meritata un retweet di Matteo Salvini per aver plaudito alla linea dura sui migranti. 
«La maternità surrogata non è questione di appartenenza politica: la mia posizione è proteggere i bambini e le donne. Per il resto, si tratta di temi complessi dove c’è troppa polarizzazione per non essere etichettati. Io sono solo una che, ogni tanto, ama dire come la pensa». 
L’anno scorso, è uscita da Rai e da Vita in diretta dando del maschilista al coconduttore Alberto Matano: la lettera che è trapelata esiste? 
«Era una lettera interna, poi uscita fuori, manipolata. Non c’è bisogno che ci torni su: quello che dovevo dire l’ho scritto a chi dovevo. Penso sia il modo migliore di dire le cose. Pensate e meditate. Ora, sono felice di tornare a Mediaset, ad Amici, con Maria De Filippi: mi piace mettere a disposizione dei giovani la mia esperienza, come restituire il regalo ricevuto da ragazza». 
Alla fine, si è poi laureata? 
«No, mi sono diplomata nel ’94 mentre aspettavo Sara, la primogenita. Volevo pane per il mio cervello. Poi, mi sono iscritta a Lettere, ma il lavoro, la famiglia... Era un delirio, ho alzato bandiera bianca. Magari, ci riprovo con la terza età». 
Ballare le manca? 
«Sì, anche se non ho mai smesso. Mi alleno quattro volte alla settimana per un’ora: non ho né il fisico né l’elasticità e la forza dei vent’anni, però quando potrò tornare in teatro so che supplisco con esperienza, passione ed energia che non hanno uguali. Lavoro a delle idee, ma i miei spettacoli vivono di pubblico: con una capienza bassa per Covid non starebbero in piedi». 
È d’accordo sul geen pass a teatro? 
«Lo sono con tutte le misure che possono aumentare la capienza, ma dato che anche i vaccini non evitano il contagio, la soluzione mi sembra il tampone rapido e, senza facilitazioni, non puoi pensare che una famiglia, oltre al biglietto, si accolli 80 euro di tamponi. Non che debbano essere gratis, ma costare molto poco sì». 
Lei è sì vax, no vax, boh vax, nì vax? 
«Sono per la libertà di scelta, che è molto più semplice. Noi, a casa, abbiamo fatto tutti il Covid, per fortuna con pochissimi sintomi, per cui, il vaccino non l’abbiamo fatto». 
Sogni ne ha ancora? 
«Certo, uno mai realizzato è fare cinema. Ma la prima ambizione è essere la migliore mamma per i miei figli. Presente, non ingombrante, dispensatrice di consigli, ma non giudicante».