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 2021  settembre 10 Venerdì calendario

Kafka, Brod e la disfida degli aeroplani

Tre amici attratti dal volo. Mai avevano visto aeroplani sollevarsi da terra. Le finanze erano scarse, ma di quelli fu Franz Kafka (gli altri erano i fratelli Max e Otto Brod) a sollecitare la gita a Montichiari, in quel settembre del 1909, mentre si trovavano in vacanza a Riva del Garda. Lo ricostruisce bene Renato Pettoello, il curatore di Aeroplani a Brescia, nell’utile prefazione, citando Max: da alcuni mesi «il lavoro letterario di Kafka si era arenato ». Dunque Brod era alla ricerca di situazioni ed esperienze che fossero di stimolo alla creatività letteraria dell’amico. Ecco perché «con grande entusiasmo» accoglie il desiderio di Franz, decidendosi per la gita al campo di volo dove il 9 settembre si sarebbe svolta una gara internazionale. Il patto era che non si doveva solo assistere alla gara tra i velivoli pionieristici giunti lì da tutta Europa, ma che ce ne doveva essere anche una letteraria tra Max e Franz: «chiesi a Kafka - annotò in seguito Brod - che scrivesse immediatamente tutte le sue osservazioni e le raccogliesse in un articolo». Anche lui, Max, l’avrebbe fatto. Una volta scritte, avrebbero messo le loro osservazioni a confronto, magari su una rivista, o in un libro. L’amico accettò la sfida e dopo alcuni giorni, rientrati a Praga, il piano di Brod venne realizzato: il 29 settembre il testo di Kafka, dopo essere stato rivisto e reso «accettabile » dallo stesso, fu pubblicato sulla pagina letteraria del quotidiano ’Bohemia’. Diverso il destino del testo di Max, che finì relegato all’interno del semestrale monacense März.
Seppur di valore letterario del tutto differente, in virtù della ’gara’ che li ha sollecitati, Pettoello ha scelto di pubblicare entrambi i testi, accompagnandoli con una appendice comprensiva di una cronaca giornalistica della gara tra velivoli tratta da ’La Sentinella Bresciana’ e da un apparato d’immagini. Se «il resoconto di Brod sottolinea ancora il curatore - oltre ad avere un tono distaccato, ha un che d’impressionistico», limitandosi, a parte qualche divagazione ironica, a «registrare le une accanto alle altre le sue impressioni», quella del praghese è una narrazione «compiuta e articolata», come rimarca lo stesso curatore. E degna del miglior Kafka, aggiungiamo noi. Del Kafka cioè che non si limita a registrare immagini, piuttosto da quelle elabora similitudini, metafore, per cui «gli hangar che se ne stanno con le tende rinserrate», sono messi in relazione a «palcoscenici chiusi di commedianti girovaghi». Oppure, se un operaio dà uno strattone a una pala d’elica «si sente qualcosa come il respiro di un uomo robusto che dorme».
Ed è anche lo scrittore che non censura paure e ossessioni. Paura qui perfino per «l’organizzazione italiana» dell’evento aviatorio, per i comitati che si curano degli ospiti, paura per le ferrovie... Ricordata l’ossessione kafkiana per la sporcizia, un’intera pagina è dedicata qui alla «sporcizia che non si cambia più, che fa parte delle cose, che rende in qualche modo più solida e terrena la vita umana», propria dell’alloggio assegnato ai tre amici a Brescia. Da quella sporcizia «s’affretta a sbucare » una figura che Kafka trasforma in spunto per evocare il ’vate’ italiano: l’albergatore appare nell’alloggio «muovendo continuamente i gomiti e gettando sul suo viso sempre nuove ombre con le mani», con gli stessi «ampi piegamenti del corpo» che lo scrittore ritroverà poi in Gabriele D’Annunzio, presente anch’egli nel campo d’aviazione di Montichiari. Non mancano del repertorio del praghese animali che «perdono la testa», umani «mostruosi». Da ultima la descrizione del volo, come solo Kafka poteva immaginare, tra senso d’ebbrezza causata dalla sfida e sentimento d’impotenza: «Che cosa succede dunque? Qui sopra un uomo è intrappolato in un telaio di legno a venti metri da terra e si difende da un pericolo invisibile, assunto volontariamente. Noi invece siamo ricacciati qui sotto, come nullità, e osserviamo quest’uomo».