la Repubblica, 10 settembre 2021
Intervista a Mattia Binotto (parla della Ferrari)
MONZA – È rimasto uno dei tanti, in Ferrari. «È la cosa di cui vado più orgoglioso». È un antidivo, Mattia Binotto. Anche se siede su uno dei sedili che più scottano in F1. Brucia anche di più, a Monza. L’ingegnere italo- svizzero, 51 anni, che nel ’95 da neolaureato varcò i cancelli di Maranello, guida la Scuderia dal 2019, prima con una specie di doppio incarico, poi a tempo pieno come team principal dopo aver lasciato gradualmente la direzione tecnica. Ha vissuto tre stagioni intense, compresa quella scorsa, la peggiore per la rossa in 40 anni (sesta in campionato). «Dice che sono invecchiato?».
Le chiedo: dopo i successi delle nazionali e alle Olimpiadi, quando tornerà a vincere la Ferrari, nazionale dei motori?
«La nostra è una squadra giovane che ormai si è fatta le ossa. Stiamo lavorando e miglioriamo. Ci sono tanti elementi per far sì che il 2022 sia ancora un anno di progresso per noi.
Vogliamo essere più veloci per tornare in alto. Non saremo la sorpresa alla Marcell Jacobs, perché siamo un team che ha dimostrato di avere un certo valore, nel 2017 e 2018 lottavamo per il titolo. Forse siamo più la Scuderia infortunata alla Gianmarco Tamberi, che dopo un 2020 terribile vuole tornare in alto. Di certo siamo come l’Italia di Roberto Mancini, un tecnico che fonda le sue squadre sul concetto dell’armonia del gruppo, l’intesa, valorizzando le singole persone. Siamo parte dello sport che unisce il paese, che vuole ripartire anche dopo la pandemia e tornare presto a delle vittorie, sono sicuro che prima o poi ci arriveremo».
Anche in un mondo tecnologico come la F1 conta così tanto il fattore umano?
«Ho fatto l’ingegnere, adesso sono una specie di direttore d’orchestra.
Non tocca a me suonare gli strumenti, ci sono tanti altri che lo fanno molto meglio di me, io devo dare loro tutto il necessario per poter operare al meglio. Essere bravi ct o team principal significa mettere tutti in condizione di fare bene, guardando alle risorse, all’aspetto umano, all’armonia. Lo spirito di squadra è una cosa a cui io tengo molto, si creano le giuste basi per un gruppo vincente agendo sulla cultura delle persone, oltre che stimolando la passione. Io credo che sia davvero un tema di identità».
Basta per vincere?
«In F1 non esiste la bacchetta magica, si costruiscono le vittorie o i cicli col tempo e con pazienza, lavorando sulle persone, sulle risorse, sui processi. Guardando agli ultimi 30 anni, penso a Williams, McLaren, Red Bull, Mercedes e anche noi, i cicli sono sempre stati caratterizzati da squadre che hanno avuto la forza e la calma di costruire le fondamenta necessarie. Spesso è capitato con dei cambi regolamentari significativi: per la Williams fu l’elettronica, l’aerodinamica per la Red Bull, l’ibrido per la Mercedes. Noi cresciamo passo dopo passo e per me, ripeto, è anche una questione di cultura, di identità, di persone. Non l’abbiamo mai pubblicizzato, ma in questi ultimi tre anni abbiamo assunto 30 persone da altri team.
Siamo di fronte ad altre squadre tutte molto forti, come la Mercedes e la Red Bull, ma non mi sento da meno».
Lei peraltro si è formato nella Ferrari di Jean Todt e Michael Schumacher.
«E anche di Ross Brawn e Stefano Domenicali. Ho avuto la vera fortuna di essermi formato in un periodo entusiasmante, ho potuto vedere come si costruisce una scuderia vincente con l’attenzione ai dettagli, al lavoro, al fatto di non accontentarsi mai. Con Michael: un vero leader anche fuori dall’abitacolo. Un esempio che anche oggi mi è molto utile».
Vede in Leclerc o Sainz la stessa leadership di Schumacher?
«Penso sia la coppia di piloti migliore in griglia. Vanno d’accordo davvero, non c’è niente di costruito, e hanno capito sin da subito l’importanza di mettere la squadra al centro del progetto e se ne stanno facendo carico, lavorando insieme e con gli ingegneri. E questa per me è leadership. Il loro apporto alla vettura 2022 è decisivo».
A che punto è il progetto?
«Molto avanzato, anche perché ci sono delle esigenze produttive, è il momento di iniziare a costruire e produrre il telaio per averlo pronto per dicembre, così come il cambio e le sospensioni. Il concetto vettura è insomma già stato scelto. Stiamo ancora lavorando sulle forme esterne, l’aerodinamica, gli alettoni, la carrozzeria ma anche sulla power unit, anche qui l’architettura è fissa ma adesso si tratta di sviluppare gli ultimi dettagli di prestazione e affidabilità, per gennaio dovrà essere completato. E sarà molto innovativo».
In che modo?
«Sarà un motore completamente diverso e nuovo che per noi rappresenta una forte discontinuità di progetto, devo dire anche con scelte coraggiose visto che nei prossimi anni la power unit sarà congelata. Per noi rappresenta il miglior prodotto che eravamo in grado di sviluppare. Abbiamo cambiato la parte meccanica del motore, ma anche di combustione turbo e ibrida di cui stiamo anticipando l’evoluzione nel 2021.
Rispetto al passato, è un progetto rivisto significativamente su tutti i fronti. Peraltro l’anno prossimo avremo una benzina col 10% di etanolo per iniziare un percorso di benzine sempre più sostenibili.
Insomma, non sappiamo cosa stiano facendo gli altri, ma noi ci stiamo allenando bene. La partita dirà chi lo ha fatto meglio».
Si aspetta Mondiali combattuti come questo?
«Sì e me lo auguro per lo spettacolo, per via dei regolamenti penso che tra il primo e l’ultimo ci sarà molta meno differenza di oggi».
A Monza che Ferrari vedremo?
«Pista difficile e week end diverso con la sprint qualifying race.
Pagheremo lo svantaggio competitivo per via del motore, ma speriamo di compensare su altri fronti».
Ha incontrato il nuovo ad, Benedetto Vigna?
«Le occasioni sono state finora poche, ma sono molto soddisfatto: è bene avere un amministratore delegato che conosca e abbia avuto a che fare con l’innovazione e con lo sviluppo».
E lei come si definisce oggi?
«Forgiato da tre anni intensi: patto della Concordia, cambi regolamentari, difesa della squadra dagli attacchi sul motore 2019, la sostituzione non scontata di Sebastian Vettel con Carlos Sainz. Il difficile 2020 e guardando ai risultati non ne sono contento. Ma in tutto questo vado orgoglioso del fatto di essere rimasto, anche come team principal, uno dei tanti della Scuderia Ferrari. Sono uno di loro, non diverso da nessuno, conosco tutta la mia gente e in gran parte per nome».