la Repubblica, 10 settembre 2021
Il pessimismo di Michele Placido (che si dice contro i festival)
VENEZIA – Quando gli si chiede “Come va il set?”, Michele Placido risponde: “Quale dei tre? Sono su tanti progetti belli. Non sono venuto a Venezia per non lasciare il film su Mondadori, di cui sono assoluto protagonista». Alle Giornate degli autori-Isola di Edipo c’è però Isolation, docufilm collettivo in sala il 4, 5, 6 ottobre che il regista, 75 anni, firma con Julia Von Heinz, Jaco Van Dormael, Olivier Guerpillon e Michael Winterbottom. «Una produzione europea, ogni progetto autonomo e libero, anche se ci siamo scambiati le idee con i colleghi. Ho visto gli altri segmenti, mi ha colpito la diversità delle riflessioni, la costrizioni che l’uomo mette ai suoi simili, non solo per il Covid».
Nel suo segmento c’è una Roma deserta.
«Quando mi hanno contattato avevo già girato tanto materiale con il cellulare. Era febbraio del 2019, il periodo più terribile, l’Italia chiusa in casa. Di nascosto, con la scusa di visite mediche o per fare la spesa, avevo perlustrato la zona di piazza Barberini, dove vivo. Una Roma agghiacciante, Trinità de Monti, la Fontana di Trevi morta, i bus che sfrecciavano vuoti. Per farmi compagnia, tra piazze e strade silenti recitavo a me stesso L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, testo emblematico su un uomo che ha i giorni contati, parole che ho legato alle immagini di chi, allora, entrava nelle rianimazioni degli ospedali per uscirne nelle bare».
Ci sono anche riprese a teatro, e incontri con Bocelli e Bolle.
«Volevo focalizzarmi sul mondo dell’arte, dei teatri d’opera, sulla condizione dell’artista. Bolle in punta di piedi sul Duomo, dove ballare e respirare senza pericolo, pensando all’arte come respiro dell’anima.
Bocelli a casa sua, a regalarci un pezzo al pianoforte, parlandoci di paure, nostalgie, il dolore del distacco dal pubblico».
È cambiato il suo rapporto con il cinema?
«Non si potrà più ignorare il Covid.
Meno male che il Caravaggio è ambientato tanto tempo fa, anche se allora c’era la peste a Milano, ne parla il Manzoni. Il film è stato fermo due anni, sarà pronto a ottobre. Vedremo in che condizioni uscirà. Gli incassi ora sono paurosi, alcuni film non riescono neanche a stampare le copie. Un disastro. Mi interrogo sul futuro dei film di Venezia sul mercato. Il pubblico viaggia in aereo, si affolla sulle spiagge e ai ristoranti, ma al cinema non va. Le piattaforme fanno sì che la gente resti al sicuro, al caldo. Mi auguro il meglio, anche per il mio film, ma per il periodo da qui a Natale sono pessimista».
Venezia, cosa le manca e cosa no?
«Barbera ha raccolto bene, mi pare un’edizione ricca. Ma la cosa che non mi piace più dei festival è che sui media vedo solo gli abiti scollati delle signore sul tappeto rosso. Ci si abbandona all’ego, all’apparire. I festival appartengono al salotto della nonna, i ragazzi non li seguono e non aiutano più il cinema. Anche un film interessante e internazionale come quello di Sorrentino esce su Netflix».
Sarà in sala dal 24 novembre al 16 dicembre, poi su piattaforma.
«In quel periodo può incassare 3 milioni, La grande bellezza ne fece 10.
Prevedo un futuro di Festival delle piattaforme, destinati al pubblico giovane, appetibili per il marketing».
Il ricordo più bello e il più brutto?
«Nelle mie quattro volte hanno premiato i miei attori, Accorsi, Trinca, e anche me. Poi ricordo il periodo dei “cretinomani”, giovani critici che irrompevano nelle sale e fischiavano i miei film, con Ovunque sei già sui titoli di testa: all’ottimo Accorsi, a mia figlia Violante, ancor più forti. Un tiro al piccione. Oggi non m’importa di Venezia o Cannes, cerco solo di fare bei film. Da questo punto di vista Venezia non mi manca». —