la Repubblica, 10 settembre 2021
Intervista a Bernhard Schlink
È la prima volta che Bernhard Schlink partecipa al Festivaletteratura di Mantova.
Tornato da una visita al castello, scruta le persone che tra le vie ciottolose del centro storico animano, nonostante le misure di sicurezza imposte dalla pandemia, la manifestazione. Il suo incontro a Palazzo San Sebastiano ieri sera ha chiuso in bellezza la giornata. Lo scrittore tedesco, che nella sua compostezza coniuga perfettamente il passato da giudice e accademico al presente da scrittore, è un signore della generazione del dopoguerra, figlio di un teologo che perse la cattedra durante il nazismo.
Il romanzo The reader ( Il lettore ), storia d’amore tra un ragazzo e una donna che è stata kapò in un lager nazista, è uno dei più grandi bestseller della letteratura tedesca, reso ancora più celebre dal film con Kate Winslet, Oscar nel 2009. E proprio ieri è stato pubblicato da Neri Pozza il nuovo libro I colori dell’addio, una raccolta di racconti straordinari che ruotano intorno alla paradossalità dell’esistenza e all’imprevedibilità dei sentimenti.
Niente è semplice nella vita dei protagonisti, l’amore soprattutto è una questione ingarbugliata. Si tradisce, si compiono atti di cui poi ci si vergogna, si scelgono persone sbagliate, si fanno molti errori.
«Inseguo nella scrittura la complessità. Quello che tento di fare, come scrittore e come uomo, è non accontentarmi delle vie facili e mi auguro di riuscire a diventare in questo sempre più inclusivo».
In una ipotetica sua lista di buoni propositi, che è il tema della nuova copertina del nostro supplemento Robinson, metterebbe la capacità di comprendere gli errori?
«Sicuramente mi esercito ad accettarli, a non rimuovere le difficoltà. L’altro è un desiderio impossibile: prendermi più tempo libero, imparare a essere meno produttivo. Mi piacerebbe svegliarmi senza l’assillo dell’impegno».
È molto severo con sé stesso?
«Non vivo la scrittura come un dovere. Mi metto a scrivere senza pensare “lo devi fare”. So bene che sto facendo esattamente quello che voglio, ma a volte vorrei non volerlo.
Vorrei liberarmi della mia stessa libera volontà. Come vede, vivo nel dissidio, che è poi l’unico modo per vivere».
Per questo l’amore nei suoi libri è sempre complicato?
«Esistono amori che filano lisci secondo lei? ( sorride ). Spesso scopriamo solo nel tempo chi è la persona che abbiamo a fianco, come succede al protagonista di The reader. Michael all’inizio non sa che la misteriosa Hanna era stata in passato nelle SS. Lo scoprirà più tardi, durante il processo che la porterà in carcere. Nonostante il turbamento, cercherà comunque di starle vicino, continuando a nutrire un profondo affetto nei suoi confronti».
Può convivere questa forma di comprensione con la memoria del male?
«Non riesco a scrivere dei miei personaggi, anche di quelli mostruosi, senza una sorta di amore nei loro confronti. Sono indulgente verso di loro come può esserlo una madre verso un figlio diverso dalle proprie aspettative. Se poi vuole sapere se penso sia possibile amare dei mostri, le rispondo di sì: può accadere di amare persone che hanno commesso atti mostruosi».
A lei è successo?
«È il problema della mia generazione. Molti di noi hanno scoperto crescendo di avere avuto una madre, un padre, un insegnante che avevano compiuto nefandezze durante il nazismo. Fu uno shock quando ero giovane scoprire che il mio bravo insegnante di inglese era stato un nazista. Fu un mio compagno di classe a raccontarmi il suo segreto.
Ho continuato a considerarlo un ottimo professore e ho dovuto imparare a convivere con la tensione che mi procurava la nuova scoperta».
Si può perdonare l’orrore?
«Non possiamo perdonare cose non commesse nei nostri confronti, non sta a noi farlo. Possiamo solo tentare di capire, che non vuol dire cancellare ma vivere dentro una insanabile contraddizione».
E quando non ci saranno più testimoni viventi, padri, madri e nonni, vittime o carnefici, come si farà ad alimentare la memoria?
«Non accadrà. Ci sarà sempre un insegnante, un film, un amico che ricorderà quello che è successo anche ai più distratti».
L’impressione però è che si vada indebolendo la consapevolezza della storia. Non trova incredibile che in Germania un partito di estrema destra come Afd raccolga tanti consensi?
«C’è un’incapacità a convivere con la complessità del mondo contemporaneo. Gli estremismi in fondo sono risposte semplicistiche alle difficoltà del presente.
L’Occidente appare a molti confuso e le istituzioni europee vengono percepite come imperscrutabili, comunque non in grado di dare risposte adeguate ai problemi più urgenti, soprattutto all’immigrazione. Si scelgono scorciatoie perché è più comodo pensare che la colpa sia dell’Europa piuttosto che cercare di capire la natura dei conflitti contemporanei, sviluppando un pensiero critico».
Il cerchio si chiude dunque da dove siamo partiti. Se dovesse pensare di suggerire ai delusi un buon proposito per il futuro?
«Non esistono soluzioni facili a problemi complessi. Le questioni legate ai migranti, all’ambiente, alla pandemia non si affrontano affidandosi a risposte frettolose che appaiono chiare e veloci. Se dovessi indicare che cosa mi ha insegnato la letteratura direi: ad accettare le contraddizioni, a non scansare la tensione inevitabile della vita. È questo il mio auspicio».