la Repubblica, 10 settembre 2021
In Italia meno della metà delle donne lavora
Di recente, abbiamo già affrontato la “questione femminile”, che riguarda la marginalità delle donne in tutti i principali settori della vita pubblica e sociale. Ad eccezione di uno: la famiglia. Dove le donne assumono un ruolo centrale. Determinante. E proprio per questo hanno spazi e possibilità minori di impegnarsi e contare altrove. Anzitutto, nel lavoro. Ma anche nelle istituzioni. In politica. D’altra parte, com’è possibile seguire e pro-seguire una carriera “lontano” dalla famiglia? Si spiegano (anche) così «i numeri feroci sulle donne» presentati, nei giorni scorsi su Repubblica, da Linda Laura Sabbadini, Direttrice dell’Istat. Con la quale dialogherò questa sera, insieme a Massimo Cacciari, al Festival della Politica di Mestre.
Cifre tanto più “feroci” se comparate con l’Europa. Le rammento rapidamente. Meno della metà delle donne, in Italia, lavora. Penultimi in Europa, ma ultimi per tasso di occupazione delle donne da 25 a 34 anni. Mentre le donne laureate tra 25 e 34 anni sono 10 punti in meno rispetto alla media della UE.
Questa sotto-valutazione si riproduce anche nei ruoli di governo. Nazionale, regionale, amministrativo.
Lo stesso avviene nel sistema sanitario, dove, nonostante la grande maggioranza del personale sia composta da donne, meno del 20% dei primari lo è. Mentre nelle Università sono poche le donne che riescono a raggiungere il posto di professore ordinario.
Così, nonostante la parità sia stata sancita dalla Costituzione e “dal 1948 ad oggi siano stati fatti tanti passi in avanti”, come ha sottolineato il Presidente Sergio Mattarella, il potere delle donne resta limitato.
E l’azione condotta, su diversi piani, per raggiungere l’effettiva parità, appare largamente inadeguata. Non c’è bisogno di statistiche e di analisi economiche particolari, per verificarlo. È sufficiente fare ricorso al senso comune. Alle percezioni dei cittadini. Infatti, come mostrano i dati di un sondaggio di Demos condotto nei giorni scorsi, pressoché i due terzi degli italiani (compresi nel campione rappresentativo) ritengono che occorra “fare molto di più per raggiungere la parità”. Anche se un terzo sostiene il contrario. Che si sia fatto abbastanza. Perfino “troppo”. Com’è prevedibile, l’esigenza di aumentare l’impegno per superare le differenze di genere è maggiormente sentita dalle donne. Le più svantaggiate. Tre su quattro, fra loro, si esprimono in questo senso. Mentre poco più di metà, degli uomini, ritiene inadeguato questo percorso. Probabilmente perché non ne sono (siamo…) penalizzati.
La posizione politica influenza in modo evidente questo orientamento. La domanda di aumentare gli sforzi per realizzare la parità di genere è quasi “totale”, fra gli elettori del PD: 82%. Ma appare largamente maggioritaria tra quelli di Forza Italia e del M5S. Mentre supera di poco la maggioranza nella base dei FdI. Infine, la componente che “sotto-valuta” questa esigenza risulta più limitata fra gli elettori della Lega. I quali, al contrario, ritengono (in lieve maggioranza) che si sia fatto abbastanza e perfino troppo in questa direzione. Si tratta di orientamenti, talora, in contrasto con la posizione, o meglio: la situazione, dei partiti stessi. Nel caso dei FdI, perché si tratta dell’unica forza politica in Italia guidata da “una” leader. Giorgia Meloni. Mentre la Lega ha un legame storico con il Rassemblement (in passato Front) National, il partito francese di Destra, guidato da Marine Le Pen. Amica personale di Matteo Salvini.
Le disparità di genere sono “denunciate”, soprattutto, per quel che riguarda il mondo del lavoro. E in politica. Tanto più quando si parla dei “ruoli dirigenziali”. Uno squilibrio “percepito” in misura generalizzata. Dai tre quarti delle donne e dai due terzi degli uomini (ma poco più della metà, per quel che attiene la politica).
Naturalmente, il discorso cambia quando si parla della famiglia. Dove il potere delle donne appare adeguato, al di là delle differenze di genere. Perché il posto della donna appare ancora (col)legato, in modo quasi esclusivo, all’ambito “familiare”. Tuttavia, è significativo che metà delle donne affermi che dovrebbe essere rafforzato.
La questione, però, è proprio questa. Se la dis-parità di genere è evidente, perché non si riesce a superarla?
La politica e le politiche hanno contribuito a ridimensionare lo squilibrio storico che caratterizza l’Italia. Senza però risolverlo. Soprattutto se osservato in prospettiva europea. Le distanze “di genere”, infatti, persistono. Ma la soluzione “per legge” non ottiene grandi consensi. Meno di un terzo della popolazione ritiene, infatti, che si debba ricorrere a nuovi provvedimenti e a nuove leggi, a questo fine. E, fra gli uomini, il consenso a una soluzione normativa scende a meno di un quarto.
Così, il problema resta sociale e culturale, prima che politico. Il ruolo delle donne va rivendicato oltre la famiglia, anzitutto dalle donne. E dagli uomini disposti a riconoscere che, da soli, non sono in grado di (ri) “generare” futuro.