Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  settembre 10 Venerdì calendario

Pat Metheny spiega l’importanza di New York per la musica

«Negli anni ho sempre tenuto d’occhio i giovani musicisti e l’idea è quella di invitarli a unirsi a me nella ricerca creativa». La leggenda della chitarra Pat Metheny spiega così il suo nuovo disco, «Side-Eye NYC (V.1 IV)» in uscita oggi: un album registrato dal vivo che racchiude sia composizioni inedite sia suoi classici rivisitati, suonato insieme ai talenti emergenti della scena newyorkese come il pianista James Francies e il batterista Marcus Gilmore.
Il lavoro è il primo capitolo di un progetto più ampio, una sorta di format-laboratorio in cui collaborare ogni volta con persone nuove: «Ormai tante generazioni hanno avuto i miei lavori nella loro dieta musicale – spiega Metheny, 67 anni e 20 Grammy Awards all’attivo —. Trovo incredibilmente gratificante aver avuto un impatto su di loro, ma al tempo stesso la stessa cosa è accaduta a me con nomi come Herbie Hancock o Chick Corea o Charlie Haden che era anche diventato il mio migliore amico: si cresce con dei miti, poi li si incontra e ci si suona insieme, passando avanti il testimone. È così che funziona». Verrebbe da dire che è così che funziona nel jazz, ma Metheny non ama le categorizzazioni: «La musica è una cosa sola e quando la gente parla di generi con me, me ne tiro fuori. A me interessano persone creative, senza barriere, che riescano a trovare un loro infinito personale con qualsiasi linguaggio».
New York, sostiene il chitarrista e compositore, originario del Missouri, rimane una tappa di formazione imprescindibile: «È la città dove misurare il proprio livello ed è difficile per me pensare di chiamare a suonare qualcuno che non ci abbia passato almeno un paio d’anni. Se in Missouri sei il più bravo, arrivi a New York e ce ne sono altri 16 di bravi come te». La sua carriera, lunga ormai mezzo secolo, è impressionante: unico al mondo a vincere Grammy in oltre 10 diverse categorie, decine di dischi all’attivo con varie formazioni, ha collaborato con tutti i grandi: «Se vieni a casa mia però non vedi nessun trofeo sul muro. Quando ricevo un premio mi concedo qualche ora per dirmi “che bello” e poi riparto da zero. Ogni giorno bisogna suonare bene, non importa come hai suonato il giorno precedente». Non si stanca mai? «Mi interessa avere una relazione sempre più profonda con la musica e diventare un musicista sempre migliore. La musica ha una verità universale, simile a quella della matematica con l’aggiunta di un’anima. Che io stia suonando o no, penso sempre a tutto come se fosse musica e se non suonassi sarei comunque un musicista».
Così accanto al nuovo album, Metheny ha pronto un tour mondiale di oltre 100 date che a maggio lo porterà anche in Italia per sei concerti: «Ci proviamo, anche se siamo consapevoli dei rischi», commenta. Ma pensare ai live di questi tempi, lo surriscalda: «Incoraggio tutti quelli che amano la musica a vaccinarsi, se no non ci saranno più concerti. Non capisco il problema a dire il vero e sono arrabbiato. Ci siamo sempre vaccinati, altrimenti saremo morti di polio o cose simili e il fatto che i governi non stiano spendendo ogni centesimo per vaccinare tutto il pianeta è un mistero. C’è una minoranza che non vuole farlo e trascina giù tutti, non è più una questione di libertà, è follia».