Corriere della Sera, 10 settembre 2021
Ennio raccontato da Morricone, Tornatore, Paoli, Tarantino, Baez, Bertolucci ecc
Ennio racconta Morricone. Ma c’è molto di più nel monumentale documentario (andrà nelle sale per Lucky Red, 2 ore e mezza dove c’è l’emozione, non l’adulazione) del suo amico Giuseppe Tornatore, che ebbe in tutti i suoi film, tranne uno, le musiche del grande compositore scomparso lo scorso anno. Ennio è una sinfonia di voci e immagini dove tra archivi e interviste si ricostruiscono le intuizioni e la capacità immaginifica di una personalità complessa, «enigmatica anche se non sembra», come dice Gino Paoli. «Sono un compositore vario e contrario a sé stesso», dice Morricone nel filmato.
Lo vediamo fare ginnastica prima dell’alba nel salotto di casa, com’era solito fare. «Non ho mai pensato che la musica fosse un destino, papà mi spiegò le note a 6 anni. In solfeggio presi 3. Poi divenni bravo. Quando papà non fu più un bravo trombista smisi di scrivere per quello strumento». Ennio parla talvolta di umiliazione («suonavo per i soldati Usa nel dopoguerra da cui andavo col piattino dell’elemosina») e dell’ostilità del mondo accademico, tanto che le prime colonne sonore, dietro cui c’è una montagna di sapere le scrisse di nascosto. Diceva il suo maestro Goffredo Petrassi: «La musica per il cinema è un’attività anti-artistica. Recupererai...».
I dilemmi morali: «Per La Bibbia di Huston, De Laurentiis mi chiamò in sostituzione di Petrassi, mi sentivo in colpa»; la breve assunzione alla Rai: «Mi dissero, lei qui non può fare carriera e le sue musiche non possono essere eseguite. Ma allora che ci stavo a fare?»; l’influenza di Stravinskij: «Lo sentii dirigere alle sue prove dallo spiraglio di una prova aperta»; il paradosso del disamore per la melodia: «Le sue combinazioni sono finite, ho trasposto i principi della dodecafonia nella musica tonale», e Nicola Piovani: «Più Ennio copriva la melodia più veniva fuori»; i litigi: «Oliver Stone voleva suoni che evocassero le corse di Tom & Jerry, ma che mi hai chiamato per un cartone animato?»; l’invidia: «Nel ’69 composi per 21 film, dissero che non era tutta roba mia».
E poi, l’apprendistato come arrangiatore di cui Gianni Morandi dice: «Colorava le canzoni, le faceva diventare un’altra cosa»; l’orgoglio: «Sergio Leone mi chiese di rifare il Deguello di Rio Bravo con John Wayne. Mi dissi: ora lo frego io ‘sto Leone»; la passione per gli scacchi: «Anche lì c’è la voglia di migliorarsi, la resistenza alle forze contrarie»; l’ingiustizia: «In Mission intrecciai oboe, mottetto e musica etnica. L’Oscar andò a Hancock che non aveva scritto musica originale, la sala protestò». E poi le due statuette tardive, «furono le scuse che tutta Hollywood gli doveva», dice il produttore David Puttnam: le dedicò, commuovendosi, all’amata Maria: «È la prima che sente la mia musica, se piace a lei la consegno ai registi». «Maria – dice Caterina Caselli – ha creato un perimetro di difesa affinché il suo genio fosse libero».
Un precursore che usava i barattoli, il piffero l’incudine, le campane nei film western di Leone. Ecco Clint Eastwood: «Non si era mai sentita una musica così operistica» per i cow-boys. Raffaela Leone su suo padre Sergio: «Avevano un rapporto amicale, complicato, discutevano in modo anche violento». Leone gli giocò un brutto tiro: «Kubrick mi voleva per Arancia meccanica, gli disse che era già impegnato con lui».
Tornatore aveva 10 ore di materiale. Joan Baez: «Sacco e Vanzetti è un inno»; Bertolucci: «Aveva la faccia rotonda, gli occhiali… Mi sembrava uno dei Peanuts». Springsteen apre i concerti con la musica di Ennio: «Il verso del coyote è la cosa più creativa mai ascoltata». E Tarantino: «Sono cresciuto con lui».
L’enigma Ennio che si è portato in Paradiso la dolcezza dissimulata. Chiude il sipario così: «La musica va pensata, prima che scritta, su cosa mettere sopra la pagina bianca. Ma un pensiero alla ricerca di cosa? Non lo sappiamo».