il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2021
A Venezia un documentario su Sergio Corbucci
Sui suoi set, ricorda l’attore feticcio Franco Nero, la carneficina era quotidiana: “Quanti ne ammazziamo oggi, venti, venticinque, trenta?”. “Da Mauro Bolognini ho imparato l’eleganza, da Roberto Rossellini il racconto, da lui la crudeltà: era sanguinario”, confessa Ruggero Deodato. “I suoi western erano i più violenti possibili”, osserva uno che l’ha studiato bene, benissimo: Quentin Tarantino. Dopo Bastardi senza gloria, avrebbe voluto dedicargli un libro, aveva già il titolo: The other Sergio, ovvero – come promette a Leonardo Di Caprio il suo C’era una volta a… Hollywood – “il secondo miglior regista di western italiani”. Il primo è Sergio Leone, poi lui, Sergio Corbucci. Tarantino non concorda con chi vuole John Ford il miglior regista americano di western, nondimeno, guardando al secondo gradino del podio stelle & strisce individua l’incertezza: Peckinpah, Hawks, Walsh, a chi spetterebbe? Questo dubbio al di qua dell’oceano non esiste: è Corbucci, il demiurgo degli spaghetti western Django, Il grande silenzio, Gli specialisti, Il mercenario, Vamos a matar compañeros, Cosa c’entriamo noi con la rivoluzione.
Tarantino li compulsa con ardore e competenza, e se molto probabilmente quel libro non lo leggeremo mai, ci possiamo consolare: la versione di Quentin si riversa nel bel documentario Django & Django, di cui sono autori Steve Della Casa e Luca Rea, che firma anche la regia. Il titolo associa il Django di Corbucci del 1966 e il Django Unchained di Tarantino nel 2012, e tra eredità esibite e simmetrie palesi Franco Nero individua un’occorrenza più sottile: “In Django gli oppressi sono i peones messicani, così come in Compañeros, e non c’è un eroe americano. Tarantino in Django Unchained fa lo stesso: gli oppressi sono i neri”. Non è un’osservazione estemporanea, delle redini ideologiche imbrigliavano cavalli, indirizzavano pallottole, animavano cowboys: “Io allora ero giovanissimo, non ne ero cosciente. L’ho scoperto dopo Il mercenario e Vamos a matar compañeros, lì ho capito che Sergio combatteva contro il fascismo, che tutti i suoi film erano politici”. Tarantino rincara la dose e certifica antifascista la violenza di Corbucci: “Tutto il suo cinema ruota intorno al fascismo”, ossia perfeziona l’abbattimento degli archetipi fascisti. Il regista non rintraccia solo l’imperativo morale cinematografico, ma la genesi biografica: Sergio cantava nel coro delle voci bianche fasciste, e “a un certo punto si trovò a un metro e mezzo da Mussolini e Hitler”. Non dimenticò, e affidò al grande schermo la risposta dei suoi primigeni bastardi senza gloria: “Il grande silenzio parla anche di Vietnam e Terzo Mondo, si riferisce a fascismo e nazismo. Credo – diceva Sergio – che tutti debbano combattere il fascismo”. Tarantino narratore e analista – “I pistoleros di Sergio sono supereroi a cui però toglie i poteri” – d’eccezione, talking heads il prediletto Nero (“Ford aveva John Wayne, io avevo Franco”) e Deodato (aiutoregista di Django), il documentario si deve all’iniziativa di Nicoletta Ercole, che produce con la sua Nicomax: “Dopo La lucida follia di Marco Ferreri, ho voluto ricordare l’altro mio padre cinematografico, che seppe dare fiducia a una piccola assistente costumista. Ogni primo giorno di set mi obbligava a dire la verità: ‘Corbucci m’è padre a me’”. La mano sulla testa di Django & Django l’ha tenuta la moglie, Nori Corbucci: “Il progetto è nato a casa di Tilde Corsi, qui co-produttrice, e lei ne era entusiasta. Purtroppo, Nori è morta di Covid, lo stesso giorno in cui abbiamo ricevuto i contributi selettivi del Ministero: ci ha benedetto dall’alto”. Prezioso tanto nel repertorio del Luce che nei Super8 di Corbucci rinvenuti dalla Ercole, filologicamente montato da Stuart Mabey, Luca Rea vi ha saputo finalizzare la ventennale amicizia con Tarantino: un’opera appassionata, sapiente e godibilissima. È Della Casa a illuminarne il segreto: “Nessuna nostalgia, Quentin ci insegna la valenza di quei film rispetto all’oggi: fuori dalle teche, dentro la vita”.