la Repubblica, 9 settembre 2021
Intervista a Gianmarco Tamberi
La gloria da portare in giro pesa cinque chili in più. Gianmarco Tamberi è ingrassato. «Dopo cinque anni a dieta mi sono un po’ rilassato.
A Tokyo ero 11 chili sotto il mio peso che quando non mi alleno è di circa 86. Hanno contato anche le feste e le celebrazioni post-olimpiche, non è per vanità, ma condividere la felicità di un oro con il pubblico significa restituire affetto e a me non stressa per niente, anzi mi fa stare bene. Sul red carpet del festival di Venezia sono andato in smoking bianco, non potevo presentarmi all’invito in tuta, ma ho indossato tutti capi di aziende marchigiane, perché ci tengo ad aiutare la ripresa della mia regione.
Vedere gli attori da vicino emoziona, ma soprattutto ho un po’ chiacchierato con Helsinki della Casa di carta, interpretato da Darko Peri? e ho scoperto che anche lui è un appassionato di basket».
Oggi può vincere il titolo di campione della Wanda Diamond League, più 30 mila dollari.
«È la prima volta che gareggio al meeting di Zurigo e sono contentissimodel ritorno del pubblico. Il silenzio non fa per me, a Chorzow in Polonia, dove ho saltato 2.30, ho finalmente risentito voci e calore. Qui però devo vincere la gara e tra gli avversari più forti ho il bielorusso Maksim Nedasekau, bronzo olimpico. Festeggiare è bello, ma perdere è brutto, così quando nelle due prime gare post-Tokyo sono andato malino, mi sono detto che dovevo far qualcosa e riprendermi».
Condividere, anzi raddoppiare l’oro a Zurigo non sarà possibile.
«No. Meglio così, non dovrebbe mai toccare all’atleta decidere il pari-merito. Non è giusto, e se uno dei due non è d’accordo che si fa, si tira la monetina?».
Scusi, ma proprio lei parla così, che con Barshim ha deciso per il doppio titolo olimpico?
«Chiariamoci. Quel gesto è stato il completamento di una vita, con Barshim ho condiviso i lunghi anni in pedana e gli infortuni. Io mi sono fatto male a Montecarlo il 15 luglio del 2016, a tre settimane dai Giochi di Rio, lui a luglio 2018, alla caviglia sinistra, quella di stacco. E io lì ho rivissuto il mio trauma, ma sono stato zitto, mi veniva solo da piangere perché lui non si rendeva conto di quello che avrebbe dovuto affrontare. Cosa vuoi dire ad un amico: passerai anni tristi e difficili, pieni di frustrazione e forse anche di depressione? Mutaz Barshim, quando non volevo parlare con nessuno, dopo i tre nulli alla misura d’entrata a Parigi, nel meeting del 2017, è rimasto mezz’ora a bussare alla mia stanza d’albergo finché non l’ho lasciato entrare. Vi rendete conto cosa significa attendere cinque anni e arrivare alla conquista di una finale olimpica con un amico che aspetta anche lui il primo oro? Sì, è stato Barshim a chiedere al giudice: possiamo vincere tutti e due? Poi mi ha guardato, come a dire: ci stai? Non c’è stato nemmeno bisogno della mia risposta. E chi ero io per rifiutare un oro all’Italia? Avessi detto no e l’avessi perso mi avrebbero sommerso di critiche: presuntuoso, superbo, egoista. È stata un’occasione unica di amicizia. Non sapevo che Elena Isinbaeva, primatista mondiale dell’asta, avesse criticato la scelta, si vede che in pedana ha avuto soltanto avversarie e nemiche. Mi dispiace per lei».
Però lei non vorrebbe più ritrovarsi nella stessa situazione.
«No. Nel senso che dovrebbe decidere il regolamento, senza possibilità di accordo. A noi va il compito di saltare, e basta. Tokyo è stato un fatto eccezionale, ma ha fatto comodo a tutti, perché altrimenti la finale dei 100 metri sarebbe stata ritardata e alla programmazione televisiva non andava bene. Chi garantiva che io e Barshim non avremmo continuato a fare pari misure per ancora un’altra ora? E chi mi dice che magari il mio oro non abbia motivato Jacobs a pensare che anche lui ce la potesse fare?».
Resterà con suo padre allenatore?
«Gareggio fino a fine settembre poi decideremo e andrò in vacanza con Chiara, la mia futura moglie. L’anno prossimo non credo che farò le indoor, ci sono i mondiali in Oregon. Complimenti alla russa Mariya Lasitskene che come me ha dovuto aspettare cinque anni per vincere i Giochi e per la gara bellissima con cui qui ha vinto il titolo con 2.05, miglior prestazione mondiale dell’anno all’aperto, ma io continuerò a preferire i salti passati della nostra Antonietta Di Martino».