la Repubblica, 9 settembre 2021
Benvenuti a "Maoland"
Spillette rosse con quel faccione inconfondibile appuntate al petto e bandierine con la falce e martello in mano, già di buon mattino la prima comitiva appena scesa dal pullman si mette in fila – non troppo ordinatamente per andare alla “Casa”. A chi si arrampica fin quassù, tra le verdi colline dello Hunan, non serve aggiungere altro. La “Casa” è questa fattoria spoglia in riva ad uno stagno, tredici stanze di mattoni, dove il 26 dicembre di 128 anni fa nacque il padre della Cina contemporanea: Mao Zedong. L’uomo che si è inventato la rivoluzione e che vincendola ha dato al Paese una nuova dinastia, quella comunista, che regna ancora oggi. E ancora oggi, a 45 anni dalla sua morte – il 9 settembre del 1976 gruppi di nostalgici del Grande Timoniere arrivano qui per venerarlo come un dio.Benvenuti a Shaoshan. Benvenuti a “Maoland”. In questo paesotto di poco più di 100mila anime, un’ora e mezza da Changsha, nel centro della Cina, tutto ruota attorno al culto del padre del comunismo, in un revival mistico e a tratti surreale dei “bei tempi che furono”. Qui ovunque si posino gli occhi è impossibile non imbattersi nel suo sguardo. File di negozi con le sue statuette di plastica color oro di ogni dimensione e prezzo. Dipinti alle pareti del memoriale eretto in suo onore. Pendagli e collanine con il suo ritratto che gli ambulanti ai bordi delle strade offrono con insistenza ai pellegrini a prezzi proletari. Qui, nella Mecca del turismo rosso che il Partito del Nuovo Timoniere Xi da anni incentiva affinché i cinesi riscoprano i luoghi simbolo della creazione della nazione, arrivano ogni anno 7 milioni di visitatori. Pensionati, soldati, funzionari, intere famiglie con ragazzini al seguito. Pronti a riempire alberghi e ristoranti che campano soltanto di questo. A portarsi a casa una copia del Libretto Rosso e le poesie scritte in gioventù. A scattarsi selfie nella piazza che porta il suo nome e a posare fiori ed inchinarsi, in preghiera, davanti alla grande statua di bronzo che domina tutto. «È alta 10,1 metri. Dieci, come ottobre, e 1 come il primo giorno di quel mese del 1949 quando il presidente Mao annunciò la nascita della Repubblica popolare», scandisce con orgoglio la guida, Chen Shuae. «Ma per voi occidentali il mio nome è Ryan». Ok, Ryan.«Visitare questo posto è sempre stato il sogno della mia vita», racconta lentamente, appoggiandosi al suo bastone, il signor Yang, 77 anni. Che ha costretto il figlio ad accompagnarlo fino a qui dal lontanissimo Heilongjiang, al confine con la Russia. «Mao è stato un grande uomo che ci ha aiutati ad abbattere le tre montagne: il feudalesimo, l’imperialismo e il capitalismo che opprimevano il popolo cinese. E il popolo gli sarà grato per sempre». Un mito che fa presa anche sui giovani. Liu fa la commessa, viene dal Guangdong, nel Sud, ha 21 anni e parla come una veterana. «Indosso questa per rispetto», dice mostrando la spilla con il profilo dorato del leader incorniciato da una stella rossa. «Mao e i suoi compagni hanno scelto il comunismo come fede ponendo le basi della nostr a felicità. Senza i loro sacrifici non saremmo così forti». Amen.Nessuno dentro al Partito, dopo la sua morte, ha avuto l’ardire però di denunciarne gli errori e gli orrori. Basta passeggiare dentro al museo per accorgersene. Tra le foto d’infanzia, la fondazione del Pcc, le battaglie contro l’invasore giapponese, l’epica Lunga Marcia e la guerra civile contro i nazionalisti, non c’è nessuno spazio a raccontare quel delirio di massa che fu il Grande Balzo e neppure quei dieci anni di isteria collettiva della Rivoluzione culturale. E allora, se non lo fa il Partito, il popolo può continuare, con la sua benedizione, ad alimentare questo revival nostalgico per un’epoca dove le disuguaglianze non erano forti come oggi, nella quale si era tutti più poveri, alla stessa maniera. «Se Mao sapesse che cos’è diventata la sua Cina, sarebbe talmente arrabbiato che chiederebbe di tirare giù il suo ritratto a Tiananmen», scriveva qualche anno fa in un libro delizioso il romanziere Yu Hua.Ombre maoiste, nota più di qualcuno, sembrano essere ritornate oggi con Xi al comando: la guerra ai grandi capitali, una centralità e un’intrusione del Partito nella vita privata che non si vedeva da decenni, un nuovo contratto sociale – un Red New Deal – per ridistribuire la troppa ricchezza in mano a pochi. Una nuova era politica, una “profonda rivoluzione” come ha teorizzato un anonimo blogger ripreso, però, dai principali media di Stato. Xi è il leader più potente dai tempi di Mao – il solo dopo di lui ad avere il proprio Pensiero nella Costituzione – e c’è chi si è affrettato a paragonarlo al Timoniere: qualcuno lo dice nemmeno troppo sotto voce anche qui a Shaoshan. Ma sono due Cine lontane anni luce: Mao si ritrovò tra le mani un Paese poverissimo al quale andava somministrata un’amara medicina, quella che governa Xi è la seconda potenza mondiale. E mentre il primo la rivoluzione la fece, il secondo quella parola l’ha cancellata dal vocabolario prediligendo ordine e stabilità. Non vedremo la furia ideologica e la violenza di quegli anni bui – che lo stesso Xi e la sua famiglia subirono – ma l’eliminazione del limite del doppio mandato che gli apre la strada ad una presidenza a vita e l’aver accentrato sempre più potere nelle proprie mani, raccontano bene il ruolo da “nuovo Timoniere” che Xi si sta cucendo addosso.