la Repubblica, 9 settembre 2021
Poveri, disoccupati e senza sussidi
Quattro figli dai 4 ai 14 anni, un bilocale di 30 metri quadri in affitto a Milano, un lavoro part-time e il marito disoccupato: Annabelle Iarina, filippina, 41 anni, è tra i tanti esclusi dal reddito di cittadinanza, il 56% degli aventi diritto secondo l’ultimo rapporto della Caritas. Esclusi per ostacoli burocratici, perché i loro redditi superano il tetto stabilito per legge, oppure perché pur essendo poveri, e magari con figli piccoli, non hanno i requisiti.Sono in questa condizione per esempio tutte le famiglie di immigrati che vivono in Italia da meno di dieci anni: esclusi in massa, per legge. Invece Annabelle vive in Italia da più di dieci anni: il sostegno le è stato negato per una serie di ragioni diverse, che lei stessa stenta a comprendere. A cercare di sbrogliare il bandolo della burocrazia in questi mesi stanno cercando di aiutarla i volontari della Caritas: «Il primo anno non ce l’hanno dato perché mio marito aveva guadagnato 6.500 euro, e il tetto era di 6.000 – spiega –. E poi mi chiedevano il permesso di soggiorno, ma io non ce l’ho perché sono regolarmente residente in Italia. Spero che me lo diano l’anno prossimo».Per ragioni altrettanto burocratiche Annabelle non riesce a ottenere neanche una casa popolare: «Mi dicono che per fare domanda dovremmo essere sfrattati. Ma perché dobbiamo avere per forza lo sfratto? Per ora abbiamo difficoltà a pagare l’affitto, siamo indietro, ma la padrona di casa capisce. È difficile chiedere appuntamento al Comune, fare domanda: la pratica è bloccata». A colmare la misura c’è anche l’attesa infinita del sostegno al reddito, misura di sostegno introdotta durante la pandemia: «Ci spettano 2.000 euro, la domanda è stata accettata dall’Inps, ma dobbiamo aspettare che il fondo venga rifinanziato». A dispetto di tutto, Annabelle è ottimista: «La prima cosa è la salute, per fortuna stiamo tutti bene», conclude.Anche quando il reddito viene erogato, la cifra spesso non è adeguata alla necessità della famiglia, innanzitutto perché i nuclei con figli vengono penalizzati dalla “scala di equivalenza” stabilita dalle norme, ma a volte anche per errori di calcolo. «Ho preso il reddito per 18 mesi, poi ho interrotto e ho rinnovato la domanda per un anno. Ma non mi danno più i 900 euro al mese di prima, solo 500, perché hanno sbagliato a valutare l’Isee, dopo avermelo fatto rifare quattro volte», racconta Giuliana Messia, 48 anni, di Frosinone, disoccupata anche perché costretta a sedute di dialisi di quattro ore tre volte la settimana.Disoccupato anche suo marito, che lavorava nell’edilizia: «Quando lui lavorava stavamo bene, poi la ditta ha avuto problemi. Nel frattempo erano arrivati i bambini, dopo 16 anni di matrimonio: adesso hanno 10 e 12 anni. Abitiamo nella casa di mia suocera, viviamo della mia pensione di invalidità, 297 euro, e del reddito di cittadinanza. Senza, non sapremmo come fare. Mio figlio fa le medie, servono i libri, non è facile. La Caritas ci aiuta con la spesa e anche con le pratiche: sto chiedendo anche che mi riconoscano un’invalidità al 100% anziché all’80, la pensione sarebbe un po’ più alta».