Corriere della Sera, 9 settembre 2021
L’ultimo atelier di Modi
Nell’atelier, l’ultimo della Cité Falguière (la cittadella artistica di Montparnasse a Parigi), hanno lavorato artisti straordinari. E due geni ribelli, il russo Chaïm Soutine e il livornese Amedeo Modigliani, che qui hanno impresso la loro anima. Così lo studio dove Modì scolpiva le sue statue e nel quale risplendevano i colori di Soutine è diventato un piccolo tempio. E ancora oggi, superata la soglia, si ha la sensazione di vivere in quegli anni formidabili.
Eppure questo luogo magico rischiava d’essere spazzato via o dimenticato per sempre come tutti gli altri atelier demoliti a partire dagli anni Sessanta. Ma dopo un primo salvataggio di Mira Maodus, un’artista di origine serbo-russa che mezzo secolo fa acquistò l’edificio mantenendolo intatto, adesso è stata una giovane insegnante italiana, anche lei livornese come Modigliani, a salvare l’atelier. Si chiama Silvia Pampaloni e da alcuni anni, assieme al marito e a due figli, vive a Parigi.
È stato l’amore per l’arte e una grande passione per l’illustre concittadino a far decidere a Silvia di intraprendere una battaglia contro incuria e speculazione edilizia e oggi il prestigioso atelier è stato affidato a un’associazione internazionale che ha deciso non solo di custodirlo, ma di valorizzarlo.
Tutto è iniziato per caso. Silvia era arrivata da poco a Parigi con la famiglia e aveva deciso di iniziare a cercare i luoghi di Modì, quelli meno conosciuti. «Durante una passeggiata arrivo davanti a questa costruzione – ricorda l’insegnante —. È ancora intatta, splendida anche nella sua esteriore decadenza. Studio la sua storia, ne resto affascinata. E mi commuovo quando leggo la testimonianza di un pittore lituano che in quell’atelier è entrato a mezzanotte e ha visto con i suoi occhi Modigliani e Soutine».
Il pittore lituano si chiama Pinchus Kremegne. E un giorno scrive: «Modigliani e Soutine erano sdraiati sul pavimento per sfuggire alle pulci nei letti. Non c’era né luce, né gas. Entrambi tenevano una candela in mano; Modigliani leggeva Dante e Soutine Le Petit Parisien». Per Silvia è una folgorazione. Conosce la proprietaria dell’atelier, Mira Maodus, ne diventa amica e l’artista le confida di voler vendere. «Mi racconta di non riconoscersi più in questa Montparnasse – ricorda – perché diversa da quella bohémienne di un tempo, ma vuole lasciare lo studio di Modigliani e Soutine in mani fidate. Mi dice anche di aver fatto numerosi appelli all’ amministrazione municipale parigina e al ministero della Cultura, ma invano. Non c’è interesse. E intanto gli speculatori immobiliari sono in agguato».
Silvia Pampaloni non si arrende. Decide di aprire un altro fronte. Più mediatico. Si usano social per diffondere la notizia, si organizzano eventi nell’atelier anche con grandi personaggi e tra questi il Premio Nobel per la letteratura Peter Handke. «Riusciamo a gettare nel mare magnum della cultura mille messaggi in bottiglia – continua Pampaloni – che, nonostante i marosi, arrivano ai destinatari, quelli giusti. La proprietaria rinuncia a offerte molto allettanti a livello finanziario, ma deboli sul piano culturale. Sino a quando riusciamo a trovare un contatto con l’associazione L’AiR Arts, diretta dalla storica dell’arte russo-canadese Mila Filatova. Lo vogliono acquistare, l’atelier, per trasformarlo in un centro di ricerca dedicato all’École de Paris e un centro per residenze temporanee dedicato ad artisti internazionali».
Il progetto è già pronto e sarà presentato ufficialmente il 18 e il 19 settembre a Parigi durante le Giornate del patrimonio europeo. Silvia ha vinto. Modigliani anche.